lunedì 31 maggio 2010

Gaza, assalto in mare

da http://it.peacereporter.net
di Christian Elia


Sono almeno 19 le vittime dell'incursione israeliana a bordo di una delle navi della flotta umanitaria diretta nella Striscia



Sono diciannove le vittime dell'assalto dell'esercito israeliano, avvenuto questa mattina all'alba, di una delle navi che portano aiuti umanitari nella Striscia di Gaza. La barca assaltata, la Mari Marmara, fa parte della Freedom Flotilla, gruppo di imbarcazioni partite da vari paesi per portare sollievo alla popolazione civile di Gaza.

Impossibile contattare gli altri attivisti della Flotilla, i cui telefoni sono stati oscurati nella notte, poche ore prima dell'assalto dei corpi speciali israeliani. Tutti i membri della Flotilla sono da considerare in stato di fermo e le unità militari israeliane li stanno portando nel porto di Haifa, mentre in un primo momento il loro arrivo era previsto nel porto di Ashdod. L'ultimo comunicato stampa della rete che gestisce l'iniziativa recita: ''Lo streaming video mostra i soldati israeliani che sparano a civili, e l'ultimo messaggio diceva "Aiutateci, siamo stati abbordati dagli israeliani".

La coalizione formata dal Free Gaza Movement (FG), European Campaign to End the Siege of Gaza (ECESG), Insani Yardim Vakfi (IHH), Perdana Global Peace Organisation , Ship to Gaza Greece, Ship to Gaza Sweden, e International Committee to Lift the Siege on Gaza lancia un appello alla comunità internazionale per chiedere a Israele di fermare questo brutale attacco contro civili che stavano tentando di portare aiuti di vitale importanza ai palestinesi imprigionati a Gaza e di consentire alle navi di continuare il loro cammino. La diretta dell'iniziativa umanitaria veniva seguita in diretta sul sito della coalizione, WitnessGaza.

Il numero delle vittime non è accertato, l'unico numero è stato fornito da un portavoce di Hamas, Sami Abu Zuhri. Quest'informazione, fornita in una intervista in tv, non ha per ora altra conferma.
Le immagini, trasmesse in tutto il mondo da al-Jazeera, che ha una troupe a bordo di una delle navi, mostrano elementi delle forze d'assalto israeliane che fanno irruzione a bordo. La Radio Militare israeliana ha confermato, poco fa, che le vittime sono almeno 16. Secondo i militari israeliani, gli incursori avrebebro incontrato resistenza nel tentativo di salire a bordo, in quanto alcuni membri dell'equipaggio brandivano non meglio precisate 'armi da taglio'.
L'assalto è avvenuto a 65 chilometri dalla costa della Striscia di Gaza, in acque internazionali. Il cargo batteva bandiera turca e il governo di Ankara ha già rilasciato una nota nella quale chiede immediati chiarimenti al governo israeliano. La polizia turca ha protetto dall'assalto di un gruppo di dimostranti la sede diplomatica israeliana ad Ankara.

Una fonte ufficiale dell'esercito israeliano, sentito dalla televisione al-Arabiya, ha confermato che che le vittime sono 19: nove cittadini turchi e diversi arabi, anche se non è stata fornita la nazionalità di tutte le vittime. Al momento sono stati inoltre ricoverati 16 feriti, tra cui dieci soldati israeliani colpiti con coltelli durante l'assalto alle navi dai volontari. Si attende l'arrivo di tutte le navi nel porto di Ashdod mentre prosegue il recupero dei feriti da parte della marina israeliana.
La Turchia ha convocato l'ambasciatore israeliano ad Ankara dopo l'assalto. Lo ha reso noto un diplomatico turco. "L'ambasciatore Gabby Levy è stato convocato al ministero degli Esteri. Faremo presente la nostra reazione nei termini più perentori". Il vice-premier Bulent Airnc ha convocato una riunione di emergenza ad Ankara a cui partecipano tra l'altro il ministro dell'Interno, il comandante della Marina e il capo delle operazioni dell'esercito

''Proclamiamo per domani uno sciopero generale a Gaza e in Cisgiordania in solidarietà con i volontari della flotta attaccata dai militari israeliani", ha annunciato Ismail Haniyeh, primo ministro di Hamas. Haniyeh ha indetto una conferenza stampa, in diretta televisiva, questa mattina. ''Quella di oggi sarà ricordata come la giornata della libertà per il popolo palestinese - ha affermato - tutte le vittime di questo attacco saranno i martiri del nostro popolo''. Haniyeh ha invocato la collaborazione dell'Autorità nazionale palestinese, guidata da Abu Mazen e che controlla la Cisgiordania, della Lega Araba e dell'Unione Europea. La Lega Araba ha reagito subito, convocando per domani al Cairo una riunione urgente dopo l'attacco di questa mattina. Lo ha reso noto una fonte della Lega Araba citata da al-Arabiya.
Alta tensione anche in Israele. La polizia israeliana, appena è stata diffusa la notizia dell'assalto alla nave della Flotilla, ha predisposto la chiusura al traffico di alcune vie di comunicazione sensibili, in particolare in zone dov'è alta la presenza di arabi-israeliani. Movimenti di polizia si sono, in particolare, registrati subito nella zona di Wadi Ara, dove la tensione è alta, in quanto si è diffusa la notizia che una delle vittime sarebbe lo sceicco Raed Sallah, originario di questa zona.
La polizia israeliana ha inoltre deciso di isolare la zona della Spianata delle Moschee a Gerusalemme.

giovedì 20 maggio 2010

La marea nera arriva sulle coste

da www.greenpeace.org


La marea nera arriva sulle coste della Louisiana. La piattaforma esplosa Deepwater Horizon è di proprietà della British Petroleum o Beyond Petroleum, come ha cominciato a chiamarsi qualche anno fa con un'abile operazione di greenwashing.


A quasi un mese dall'esplosione della Deepwater Horizon, il petrolio inizia ad arrivare sulla coste. Il nostro team sul posto – prima di essere allontanato dalla Guardia costiera – è riuscito a documentare con le foto la spiaggia ricoperta da uno strato di catrame denso e viscoso nell'area di South Pass, in Louisiana, vicino alla foce del fiume Missisipi.

Recenti stime confermano le nostre ipotesi che la reale fuoruscita di petrolio sia di ben dieci volte più grande di quanto dichiarato da BP: ecco perché si cerca di nascondere agli occhi dell'opinione pubblica l'entità di questo disastro. Prima avvelenano il mare con i disperdenti chimici per far sparire il petrolio e adesso allontanano chi cerca di monitorare e documentare l'espandersi del disastro.

Sembra che la BP abbia veramente fatto male i sui conti. In documenti ufficiali compilati prima di ricevere l'autorizzazione per queste esplorazioni petrolifere la compagnia affermava, infatti, che era improbabile si verificasse una catastrofe, e che, in caso di disastro, le 50 miglia di distanza dalla costa avrebbero reso altrettanto improbabile un interessamento della costa.

Ma il petrolio è arrivato a terra e a nulla sono valsi i tentativi per arginarlo. È passato più di un mese e il pozzo non è ancora stato chiuso. È ormai sotto gli occhi di tutti che non esistono misure preventive o sufficienti tecnologie di pronto intervento: il rischio delle perforazioni petrolifere offshore è troppo alto per l'ambiente e per le popolazioni.

Eppure è di pochi giorni fa la notizia che i piani della Shell per iniziare perforazioni petrolifere in Alaska stanno andando avanti, mentre anche nel nostro Mediterraneo le richieste di autorizzazioni aumentano, soprattutto in Adriatico e nel Canale di Sicilia

È ora che i governi abbandonino il cammino delle energie fossili e investano con decisione in energie rinnovabili.

martedì 18 maggio 2010

Sorpresa, Rainews c'è ma non si vede

da www.rainews24.it


Centinaia le mail arrivate in redazione: "Rainews24 non si vede più". Il passaggio al digitale terrestre della Lombardia sposta le frequenze di Rainews24 anche nelle Regioni già digitalizzate. Ma non basta. Anche sul canale 506 del satellite, bouquet Sky, Rainews24 non c'è più.




“Oggi 18 05 2010 ho trovato il canale Rai news oscurato dalla pubblicita di rai sport 2. Pensavo che come tutte le pubblicita sarebbe durata il solito tempo ma…”. Urbano è fra le centinaia di affezionati spettatori di Rainews24 che questa mattina non ha trovato più il canale sulle solito tasto del telecomando. ’Colpa’ del passaggio al digitale terrestre della Lombardia, che anche nelle regioni già coperte solo dal segnale digitale, come il Lazio, ha provocato una variazione delle frequenze. Risultato, Rainews24 - che nel frattempo ha perso il 24 nel nuovo logo - slittata a seconda dei decoder verso il fondo della ‘pitlane’ del decoder… posizione 998 in alcuni casi.

Nel frattempo, sul canale 506 del bouquet satellitare Sky Rainews non c’è, soppiantata da un promo di RaiSport 2…

Il direttore Corradino Mineo
"Rainews informa - si legge in una nota del direttore - che da questa mattina gli utenti non ci trovano pi- al Canale 42 della piattaforma digitale terrestre. Centinaia di mail pervenute al nostro sito e altrettante telefonate testimoniano che, in realtà,
molti spettatori non riescono pi- in alcun modo a sintonizzarsi sul nostro Canale. Rainews non va in onda nemmeno al canale 506 della piattaforma Sky. Ci scusiamo con gli utenti. Faremo di tutto per comprendere le ragioni di questo oscuramento e di porvi rimedio. Rainews informa, inoltre, che da oggi il Canale non si chiama più Rainews24 ma solo Rainews e che, per omologare l'intera offerta aziendale, la Direzione Generale ha deciso di spostare il logo in alto a destra dello schermo. Il logo, purtroppo, risulta poco leggibile, mentre la nuova grafica impedisce, per il momento, di mandare in onda i flash, strumento indispensabile per una all news. Anche di questo ci scusiamo con gli utenti".

Il cdr di RaiNews 24
Rainews c'è ma "non si vede più" per questo la rappresentanza sindacale è pronta a denunciare l'azienda per "interruzione di servizio pubblico", e per oggi ha indetto un'assemblea al termine della quale potrebbero essere annunciate varie forme di protesta. Il cdr chiede anche un incontro urgente con il direttore generale Mauro Masi per "chiedere i motivi di quanto sta succedendo e quale sara' il
reale futuro di Rainews 24".

Perso il ‘24′ nel nome (comune a tutte le più note allnews nel mondo), negato un rafforzamento di mezzi e organico, tagliato il budget, perse le frequenze sul digitale terrestre senza preavviso per gli utenti, socchiusa la finestra in chiaro nel palinsesto mattutino di Rai3, quale futuro per Rainews?


sabato 15 maggio 2010

Giornata in ricordo della Nakba

da http://napoli.indymedia.org
15 maggio 2010



Sessantadue anni fa, il 15 maggio del 1948, iniziava per i palestinesi la Nakba: la catastrofe.
Da allora questo popolo vive, ogni giorno, sotto una feroce occupazione portata avanti dallo Stato di Israele e uno dei più grandi genocidi della storia. Un'occupazione che si fa via via più aggressiva, estendendo a dismisura i territori occupati dall'esercito israeliano e relegando oramai i palestinesi in piccoli fazzoletti di terra divisi gli uni con gli altri dai villaggi dei coloni e dal muro.
L'aggressione sionista non è portata avanti solo con le violente missioni militari - come l'ultima denominata "Piombo fuso" - capaci di sterminare in pochi giorni migliaia di palestinesi e di radere al suolo la maggior parte delle infrastrutture indispensabili alla loro sopravvivenza; quotidianamente, l'occupazione e la pulizia etnica contro la Palestina avanza con una sistematicità, se è possibile, maggiore, attraverso l'espropriazione delle terre, le incessanti demolizioni delle case, le deportazioni, la distruzione dei mezzi di sostentamento della popolazione, il prosciugamento delle fonti idriche, la segregazione fisica, gli attentati mirati contro la resistenza, la negazione di ogni tipo di diritto.
La striscia di Gaza, sotto assedio per il quarto anno consecutivo, è ridotta ad una "prigione a cielo aperto" per 1.500.000 palestinesi. I tunnel sotterranei sono l'unica strada attraverso cui far entrare cibo e medicinali e cercare di rompere l'assedio e proprio per questo vengono puntualmente distrutti da Israele e dal suo complice egiziano Mubarak, con l'ignobile scusa di voler impedire il passaggio di armi e di terroristi.
Come se non bastasse, in uno dei momenti più cruenti per la storia della Palestina, si cerca di proibirne la memoria attraverso la legge razzista di Israele che vieta di commemorare la Nakba.
Tutto questo è evidentemente possibile grazie al palese appoggio degli USA ed alla complicità dell'Europa (Italia in primis) e dell'ONU e grazie al silenzio dei media internazionali.
Proprio per questo motivo è necessario adesso rilanciare con ancora più forza la mobilitazione in solidarietà al popolo palestinese, per il diritto al ritorno dai campi profughi, per la fine dell'assedio nella striscia di Gaza, per la fine dell'occupazione sionista e per la riunificazione della Palestina in uno stato unico, democratico e pluralista.


venerdì 14 maggio 2010

Draquila: l'Italia che trema

da www.draquila-ilfilm.it



6 aprile 2009 ore 3.32. L’Aquila. In pochi minuti le macerie hanno coperto la storia e la vita di centinaia di persone. Il presidente Kennedy durante un discorso ad Indianapolis disse che scritta in cinese la parola crisi è composta di due caratteri. Uno rappresenta il pericolo e l’altro rappresenta l’opportunità. Anche in questo caso ciò che per tutti noi è stato vissuto come un pericolo, una destabilizzazione per qualcuno può aver rappresentato un’opportunità. Buona visione.



Una mia amica giornalista un giorno mi dice: “Ho conosciuto un signore che racconta storie stranissime su L’Aquila. Non ho capito molto di quello che diceva, ma gli ho detto di parlare con te perché questo è il genere di cose che ti interessano”.
Non aveva torto. Era luglio, a breve sarebbe iniziato il G8 ed ero decisa a incontrare il signore in questione. Ma in quei giorni la città era sotto assedio e andarci significava farsi fermare dai militari ogni tre metri. Quindi me la prendo comoda, avrei aspettato che i giorni dei grandi della terra fossero passati.
Qualche tempo dopo, alla fine di uno spettacolo, io e due amiche ci rimettiamo in marcia verso L’Aquila partendo da Arezzo.
Il signore che avrebbe detto delle cose che mi avrebbero impressionato, era di casa in un campo autogestito. È stata una serata bellissima, io lì in mezzo al loro, alcuni ragazzi mi hanno offerto l’imitazione di un loro professore in cambio di un Berlusconi.
Poi il clima goliardico della serata è andato sfumando e hanno iniziato a dare spazio ai loro pensieri. La cosa che mi ha colpito è che tutti avevano un’adorazione e una gratitudine sconfinata per i volontari e i vigili del fuoco mentre nei confronti dei dirigenti della della Protezione Civile era diffuso un sentimento di diffidenza e di paura.
Ho cominciato ad osservare quello che succedeva.
C’era una popolazione per lo più di anziani e una buona parte di famiglie affrante sì, ma convinta che nella disgrazia non gli poteva andare meglio.
E una popolazione che mugugnava impaurita e sospettosa. Qualcuno di questi partecipava a comitati cittadini e si affannava a parlare nel vuoto.
Alcuni dei ribelli dicevano: “Qui si sta facendo un esperimento. Quello che succede qui è quello che vogliono che succeda in tutta Italia.”
Mi sono fatta suggestionare e ho provato l’emozione di scoprire dal vivo quello che tutta Italia oggi sta scoprendo sui giornali.
Quello che venivo a sapere sulla Protezione Civile mi sembrava enorme, incredibile. Abbiamo preso atto dell’esistenza di uno stato parallelo che stava crescendo senza che nessuno ne sapesse niente. Si parla molto della censura dell’informazione in Italia. Ebbene la censura copre operazioni come questa. La censura e la costante minaccia della perdita del lavoro per chiunque esprima dissenso.
Come mai gli italiani votano Berlusconi?
La violenza della propaganda, l’impotenza dei cittadini, l’economia e i rapporti di forza fondati sull’illegalità e una catastrofe: il terremoto che ha annientato la città de L’Aquila per raccontare come è stata piegata la giovane democrazia italiana.

giovedì 13 maggio 2010

La macchina perfetta della censura cinese

da www.repubblica.it
11 maggio 2010
di Giampaolo Visetti


La casa, il telefono, ovviamente il computer: tutto sotto controllo. Ecco come funziona il sofisticato sistema di sorveglianza, per stranieri e non, del gigante cinese.


PECHINO
- Non possiedo la chiave della mia casa di Pechino. Gentili sorveglianti, giorno e notte, aprono e chiudono l'ingresso della vecchia dimora cinese dove vivo e lavoro. Controllano tutto, per la mia sicurezza. Se voglio andare a dormire, o incontrare qualcuno, devo prima suonare il loro campanello.
Nemmeno l'uscita secondaria dell'ufficio, attraverso telefono e computer, può essere usata liberamente. Le conversazioni sono registrate e una voce cinese spesso suggerisce cautele che non sono in grado di comprendere. La posta elettronica viene filtrata da un esercito di ingegneri del governo. Identificano le persone che mi contattano e, come gesto di riguardo, glielo comunicano.

Internet è sottoposto a verifiche automatiche ossessive. Spesso degenerano nella comicità, innescata dagli equivoci di caratteri linguistici consonanti. "Carota" è un termine bloccato: il primo ideogramma coincide con il nome del presidente Hu Jintao. Quando ingenuamente cerco una parola proibita, o mi attardo su un argomento vietato, lo schermo del pc si svuota e una scritta mi segnala l'errore tecnico che ho commesso. Se i peccati sono più gravi, ancorché inconsapevoli, si viene educati. Per un certo tempo connettersi alla Rete diventa impossibile, o richiede tempi inaffrontabili. Per qualche settimana, dopo l'uscita di un articolo "non armonizzato", viene a trovarmi la polizia. Ragazzi sorridenti controllano visti, documenti e permesso di lavoro. Sono uno straniero: fanno il loro dovere. L'assistente dell'ufficio viene quindi invitata a "bere un thé" dai funzionari. Al ritorno, con noncuranza, ne approfitta per un breve ripasso sui fondamentali della prudenza che regolano l'informazione ufficiale. Preferisce non sapere le notizie che seguo. Segnala quelle pubblicate sulla stampa del partito.

Non sono un "caso". Per fare il mio dovere non sono costretto ad andare in esilio a Hong Kong, come Google. Queste attenzioni, oltre alle preliminari "visite mediche", gratificano tutti i quattrocento corrispondenti stranieri che lavorano in Cina. Al mattino, chi fa jogging, non è più seguito da un corteo di ansimanti agenti con la macchina fotografica scarica. Per i giornalisti cinesi le cure sono più attente. Un Paese con un miliardo e trecento milioni di abitanti, guidato da un potere che non viene eletto dal popolo, non può permettersi di precipitare nel caos dell'informazione indipendente. I cronisti, prima di mettere piede in un giornale, o in una televisione, conoscono lo stretto confine di Stato tra lecito e illecito. Per cancellare me, ammesso che una simile frivolezza interessi a qualcuno, basta interrompere la corrente elettrica. Loro perdono il posto di lavoro e iniziano il pellegrinaggio in tribunale, anticamera della cella. È sufficiente la prospettiva.

La Cina mi censura? No. Posso accedere senza restrizioni a fatti, persone e informazioni che ritengo di interesse pubblico? No. Le autorità di Pechino censurano i mezzi di comunicazione cinesi? Sì. Pensano che il web sia il nemico più pericoloso del regime comunista? Sì.

Queste quattro risposte, per il partito plasmato da Mao e per molte democrazie occidentali, sono ragionevoli. Non risolvono però il dubbio che insegue chi cerca di raccontare il viaggio della Cina contemporanea. Siamo vittime di uno Stato di polizia, fondato su censura e propaganda, o siamo perseguitati dai problemi tecnici che minano una Rete frequentata ogni giorno da quattrocento milioni di internauti? Siamo nel mirino delle autorità, o in quello di una massa di hacker nazionalisti sfuggiti di mano al potere che li ha creati? Il problema è che in Cina l'inverno della stampa si è fatto così rigido che il muro dell'indicibile non distingue più i mattoni che lo cementano. La metamorfosi è compiuta. Censura e propaganda, ormai invisibili e non rintracciabili, si confondono: da fisiche sono mutate in elettroniche, da ideologiche in economiche. Potere socialista e business capitalista si intrecciano, politica e finanza sono braccia dello stesso corpo.

Siamo già oltre la libertà di internet. Il punto è essere autorizzati a riferire i fatti che accadono, senza infrangere la legge, e avere le prove che essi si siano realmente verificati. All'origine della sapiente confusione asiatica, organizzata affinché vero e falso possano coincidere, c'è il vecchio pregiudizio. I cinesi pensano che i giornalisti stranieri siano spie di potenze nemiche. Noi restiamo convinti di non poter mai credere in loro. Una doppia paranoia, alimentata dalla paura, si confronta. Dopo la strage di Tiananmen nel 1989, la repressione dei monaci tibetani nel 2008 e i disordini nello Xinjiang domati l'anno scorso con il sangue, la reciproca autocensura web è la gloriosa vittoria dei tecnocrati al comando.

La costruzione è grandiosa. Fino a ieri Pechino controllava persone e informazioni attraverso il "Dipartimento centrale di propaganda del Partito comunista". L'apparato, nonostante i casi-simbolo di giornalisti e dissidenti arrestati, era un colabrodo. Con la bomba atomica di internet, seguita dai missili di social network e motori di ricerca, la Cina si a' vista costretta a erigere la nuova "Grande Muraglia di Fuoco" contro l'invasione delle idee dall'Occidente e l'evasione dei cervelli dall'Oriente. L'ufficio della propaganda è stato superato dal Gapp, la "General Administration of Press and Publication", a cui è affidata la gestione e supervisione dei media. Quattordici ministeri si contendono l'obbedienza di oltre due milioni di funzionari che battono il cyberspazio per "armonizzare le informazioni" e "guidare l'orientamento dell'opinione pubblica".

Sono tecnici e ingegneri elettronici raffinati, quasi sempre formati nei laboratori di Stati Uniti e Gran Bretagna. A loro volta si appoggiano a schiere di "volontari" che in ogni villaggio, in ogni fabbrica e in ogni condominio, esercitano l'hackeraggio free-lance su commissione del partito. I dati di 400 milioni di internauti e 193 milioni di blog confluiscono nei tre centri di calcolo di Pechino, Shanghai e Guangzhou. Gli amministratori web intercettano e confrontano ogni parola e ogni immagine con una lista, in continua evoluzione, di termini-chiave e indirizzi proibiti. Ciò che la Cina considera "contro gli interessi nazionali", sparisce per mano del calcolatore.
Autodifesa, non bavaglio. Ovviamente non basta. Sei milioni di cinesi poco patriottici hanno appreso le manovre per aggirare la "diga verde", ricorrendo a reti private virtuali e server proxy.

La censura automatica del finto internet cinese, negli ultimi mesi, è stata così completata dai commentatori online di partito. Milioni di opinionisti, assoldati dai funzionari locali, combattono la guerra della manipolazione. Non si limitano a inviare alle redazioni la "linea ufficiale" sui fatti, gli eventi da enfatizzare e quelli da tacere. Assumono false identità e ogni giorno scrivono migliaia di commenti contro la minima critica sfuggita al setaccio dei computer. Secondo il ministero della tecnologia informatica, prima che la reazione popolare possa sfuggire al controllo, c'è oggi una finestra di due ore per bloccare un'informazione non filtrata e inondare il web di giudizi che la demoliscono. Un test sulla "tempesta di positività" ha stabilito che se il team della propaganda cinese funziona, possono bastare venti minuti per convincere che un fatto non sia accaduto, o che la denuncia di uno scandalo sia frutto di "intromissioni di potenze concorrenti decise ad arginare lo sviluppo della Cina".
Contro la realtà virtuale, Pechino schiera la falsificazione virtuale. Impedisce ai giornalisti di raggiungere eventi e persone reali. Semplifica le nostre giornate con decine di conferenze stampa "obbligatorie", dove le domande non sono previste, e regala tempo libero con la nuova offensiva delle news in inglese. Tivù, agenzie e giornali del partito-Stato offrono ormai abbondante cibo precotto allo stomaco vorace degli impoveriti media stranieri. Possiamo raccontare la Cina senza conoscerla e magari senza metterci piede, senza la barriera della lingua, a basso costo e senza noie. Ma soprattutto la Cina si appresta a occupare l'attenzione mediatica globale con la sua visione in inglese sulle vicende internazionali. L'autoprodotta glorificazione nazionale di Cctv e della neonata Cnc contende ormai il campo alla Cnn.

Dobbiamo riconoscere che non sono le mail deviate a indirizzi sconosciuti, o l'improvvisa ribellione di Google alla censura che aveva accettato, a indicare l'escalation del controllo cinese sulla vita di chi abita dentro e fuori questo continente. Il gradimento della democrazia è crollato con gli indici delle sue Borse. Pechino non ha più alcun timore che il suo esplosivo ceto medio, ostaggio dei mutui, possa ridiscutere la stabilità dell'opzione autoritaria. Il problema è che l'abbraccio tra Partito comunista e imprese privatizzate, fondato sulla corruzione, si è consumato e si estende ormai a governi e multinazionali stranieri, profeti del furto perfezionato in sistema dell'equilibrio planetario. Grazie a internet, regalato ora al monopolio di Baidu, la censura cinese scopre semmai le comodità dell'elettronica. Nascondere le realtà, o modificarla, non serve più, quando basta una mail automatizzata per togliere le notizie dai giornali, stranieri compresi.

Sono felice di non possedere la chiave della mia casa di Pechino. Sono nelle mani sicure di vecchi militari che suonano il flauto. Quando esco si accendono di entusiasmo e chiedono al tassista se per caso mi stia per portare all'aeroporto internazionale. È il tempo che sempre aspettano, quello "senza problemi". Non hanno ancora capito cosa è vietato e cosa no. Mi negano una sola informazione, l'unica che in Cina tenderei a ritenere verosimile: la temperatura dell'aria. Presenta il prefisso "wendu": troppo simile al cognome del premier Wen Jiabao.

sabato 8 maggio 2010

Questo è il potere

da www.disinformazione.it
di Paolo Barnard




Eccovi i nomi e cognomi del Potere, chi sono, dove stanno, cosa fanno. Così li potrete riconoscere e saprete chi realmente oggi decide come viviamo. Così evitate di dedicare tutto il vostro tempo a contrastare le marionette del Potere, e mi riferisco a Berlusconi, Gelli, Napolitano, D’Alema, i ministri della Repubblica, la Casta e le mafie regionali. Così non avrete più quell’imbarazzo nelle discussioni, quando chi ascolta chiede “Sì, ma chi è il Sistema esattamente?”, e vi toccava di rispondere le vaghezze come “le multinazionali… l’Impero… i politici…”. Qui ci sono i nomi e i cognomi, quindi, dopo avervi raccontato dove nacque il Potere (‘Ecco come morimmo’, paolobarnard.info), ora l’attualità del Potere. Tuttavia è necessaria una premessa assai breve.
Il Potere è stato eccezionalmente abile in molti aspetti, uno di questi è stato il suo mascheramento. Il Potere doveva rimanere nell’ombra, perché alla luce del sole avrebbe avuto noie infinite da parte dei cittadini più attenti delle moderne democrazie. E così il Potere ci ha rifilato una falsa immagine di se stesso nei panni dei politici, dei governi, e dei loro scherani, così che la nostra attenzione fosse tutta catalizzata su quelli, mentre il vero Potere agiva sostanzialmente indisturbato. Generazioni di cittadini sono infatti cresciuti nella più totale convinzione che il potere stesse nelle auto blu che uscivano dai ministeri, nei parlamenti nazionali, nelle loro ramificazioni regionali, e nei loro affari e malaffari. Purtroppo questa abitudine mentale è così radicata in milioni di persone che il solo dirvi il contrario è accolto da incredulità se non derisione. Ma è la verità, come andrò dimostrando di seguito. Letteralmente, ciò che tutti voi credete sia il potere non è altro che una serie di marionette cui il vero Potere lascia il cortiletto della politica con le relative tortine da spartire, a patto però che eseguano poi gli ordini ricevuti. Quegli ordini sono le vere decisioni importanti su come tutti noi dobbiamo vivere. E’ così da almeno 35 anni. In sostanza il punto è questo: combattere la serie C dei problemi democratici (tangentopoli, la partitocrazia, gli inciuci D’Alem-berlusconiani, i patti con le mafie, l’attacco ai giudici di questo o quel politico, le politiche locali dei pretoriani di questo o quel partito ecc.) è certamente cosa utile, non lo nego, ma non crediate che cambierà una sola virgola dei problemi capitali di tutti gli italiani, cioè dei vostri problemi di vita, perché la loro origine è decretata altrove e dal vero Potere. O si comprende questo operando un grande salto di consapevolezza, oppure siamo al muro.
“Un colossale e onnicomprensivo ingranaggio invisibile manovra il sistema da lontano. Spesso cancella decisioni democratiche, prosciuga la sovranità degli Stati e si impone ai governi eletti”. Il Presidente brasiliano Lula al World Hunger Summit del 2004.


E’ nell’aria
Come ho detto, sarò specifico, ma si deve comprendere sopra ogni altra cosa che oggi il Potere è prima di tutto un’idea economica. Oggi il vero Potere sta nell’aria, letteralmente dovete immaginare che esiste un essere metafisico, quell’idea appunto, che ha avvolto il mondo e che dice questo: ‘Pochi prescelti devono ricevere il potere dai molti. I molti devono stare ai margini e attendere fiduciosi che il bene gli coli addosso dall’alto dei prescelti. I governi si levino di torno e lascino che ciò accada’.
Alcuni di voi l’avranno riconosciuta, è ancora la vecchia teoria dei Trickle Down Economics di Ronald Reagan e di Margaret Thatcher, cioè il Neoliberismo, cioè la scuola di Chicago, ovvero il purismo del Libero Mercato. Questa idea economica comanda ogni atto del Potere, e di conseguenza la vostra vita, che significa che davvero sta sempre alla base delle azioni dei governi e dei legislatori, degli amministratori e dei datori di lavoro. Quindi essa comanda te, i luoghi in cui vivi, il tuo impiego, la tua salute, le tue finanze, proprio il tuo quotidiano ordinario, non cose astruse e lontane dal tuo vivere. La sua forza sta nel fatto di essere presente da 35 anni in ogni luogo del Potere esattamente come l’aria che esso respira nelle stanze dove esiste. La respirano, cercate di capire questo, gli uomini e le donne di potere, senza sosta, dal momento in cui mettono piede nell’università fino alla morte, poiché la ritrovano nei parlamenti, nei consigli di amministrazione, nelle banche, nelle amministrazioni, ai convegni dove costoro si conoscono e collaborano, ovunque, senza scampo. Ne sono conquistati, ipnotizzati, teleguidati. Il Potere ha creato attorno a quell’idea degli organi potentissimi, che ora vi descrivo, il cui compito è solo quello di metterla in pratica, null’altro. Essi sono quindi la parte fisica del Potere, ma che per comodità chiamiamo il vero Potere.


Primo organo: Il Club
Il primo organo del Potere è il Club, cioè il raggruppamento in posti precisi ed esclusivi dei veri potenti. Chi sono? Sono finanzieri, industriali, ministri, avvocati, intellettuali, militari, politici scelti con cura. Fate attenzione: questo Club non sta mai nei luoghi che noi crediamo siano i luoghi del potere, cioè nei parlamenti, nelle presidenze, nelle magistrature, nei ministeri o nei business. Esso è formato da uomini e da donne provenienti da quei luoghi, ma che si riuniscono sempre all’esterno di essi ed in privato. Come dire: quando quegli uomini e quelle donne siedono nelle istituzioni democratiche sono solo esecutori di atti (leggi, investimenti, tagli…) che erano stati da loro stessi decisi nel Club. Esso assume nomi diversi a seconda del luogo in cui si riunisce. Ad esempio: prende il nome di Commissione Trilaterale se i suoi membri si riuniscono a Washington, a Tokio o a Parigi (ma talvolta in altre capitali UE). I fatti principali della Trilaterale: nasce nel 1973 come gruppo di potenti cittadini americani, europei e giapponesi; dopo soli due anni stila le regole per la distruzione globale delle sinistre e la morte delle democrazie partecipative, realmente avvenute; afferma la supremazia della guida delle elite sulle masse di cittadini che devono essere “apatici” e su altre nazioni; ha 390 membri, fra cui i più noti sono (passato e presente) Henry Kissinger, Jimmy Carter, David Rockefeller, Zbigniev Brzezinski, Giovanni Agnelli, Arrigo Levi, Carlo Secchi, Edmond de Rothschild, George Bush padre, Dick Cheney, Bill Clinton, Alan Greenspan, Peter Sutherland, Alfonso Cortina, Takeshi Watanabe , Ferdinando Salleo; assieme ad accademici (Harvard, Korea University Seoul, Nova University at Lisbon, Bocconi, Princeton University…), governatori di banche (Goldman Sachs, Banque Industrielle et Mobilière Privée, Japan Development Bank, Mediocredito Centrale, Bank of Tokyo-Mitsubishi, Chase Manhattan Bank, Barclays…) ambasciatori, petrolieri (Royal Dutch Shell, Exxon…), ministri, industriali (Solvay, Mitsubishi Corporation, The Coca Cola co. Texas Instruments, Hewlett-Packard, Caterpillar, Fiat, Dunlop…) fondazioni (Bill & Melinda Gates Foundation, The Brookings Institution, Carnegie Endowment…). Costoro deliberano ogni anno su temi come ‘il sistema monetario’, ‘il governo globale’, ‘dirigere il commercio internazionale’, ‘affrontare l’Iran’, ‘il petrolio’, ‘energia, sicurezza e clima’, ‘rafforzare le istituzioni globali’, ‘gestire il sistema internazionale in futuro’. Cioè tutto, e leggendo i rapporti che stilano si comprende come i loro indirizzi siano divenuti realtà nelle nostre politiche nazionali con una certezza sconcertante.

Quando il Club necessita di maggior riservatezza, si dà appuntamento in luoghi meno visibili dei palazzi delle grandi capitali, e in questo caso prende il nome di Gruppo Bilderberg, dal nome dell’hotel olandese che ne ospitò il primo meeting nel 1954. I fatti principali di questa organizzazione: si tratta in gran parte degli stessi personaggi di cui sopra più molti altri a rotazione, ma con una cruciale differenza poiché a questo Gruppo hanno accesso anche politici o monarchi attualmente in carica, mentre nella Commissione Trilaterale sono di regola ex. Parliamo in ogni caso sempre della stessa stirpe, al punto che fu una costola del Bilderberg a fondare nel 1973 la Commissione Trilaterale. Il Gruppo è però assai più ‘carbonaro’ della Trilaterale, e questo perché la sua originaria specializzazione erano gli affari militari e strategici. Infatti, in esso sono militati diversi segretari generali della NATO e non si prodiga facilmente nel lavoro di lobbistica come invece fa la Commissione. La peculiarità dirompente del Bilderberg è che al suo interno i potenti possono, come dire, levarsi le divise ed essere in libertà, cioè dichiarare ciò che veramente pensano o vorrebbero privi del tutto degli obblighi istituzionali e di ruolo. Precisamente in questo sta il pericolo di ciò che viene discusso nel Gruppo, poiché in esso i desideri più intimi del Potere non trovano neppure quello straccio di freno che l’istituzionalità impone. Da qui la tradizione di mantenere attorno al Bilderberg un alone di segretezza assoluto. I partecipanti sono i soliti noti, fra cui una schiera di italiani in posizioni chiave nell’economia nazionale, cultura e politica. Non li elenco perché non esistendo liste ufficiali si va incontro solo a una ridda di smentite (una lista si trova comunque su Wikipedia). Un fatto non smentibile invece, e assai rilevante, è la cristallina dichiarazione del Viscount Etienne Davignon, che nel 2005 fu presidente del Bilderberg, rilasciata alla BBC: “Agli incontri annuali, abbiamo automaticamente attorno ai nostri tavoli gli internazionalisti… coloro che sostengono l’Organizzazione Mondiale del Commercio, la cooperazione transatlantica e l’integrazione europea.” Cioè: i primatisti del Libero Mercato con potere sovranazionale ( si veda sotto), e i padrini del Trattato di Lisbona, cioè il colpo di Stato europeo con potere sovranazionale che ci ha trasformati in cittadini che verranno governati da burocrati non eletti. Di nuovo, i soliti padroni della nostra vita, che significa decisioni inappellabili su lavoro, previdenza, servizi sociali, tassi dei mutui, costo della vita ecc., prese non a Palazzo Chigi o all’Eliseo, ma a Ginevra o a Brussell o nelle banche centrali, dopo essere state discusse al Bilderberg.
Per darvi un’idea concreta di come questi Club e gli altri organi del Potere siano in realtà un unico blocco che si scambia sempre gli stessi personaggi, vi sottopongo la figura di Peter Sutherland. Costui lo si è trovato a dirigere la British Petroleum , la super banca Goldman Sachs, l’università The London School of Economics (una delle fucine mondiali di ministri dell’economia), ed è stato anche Rappresentante Speciale dell’ONU per l’immigrazione e lo sviluppo, Direttore Generale dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (secondo organo del Potere), membro della Commissione Europea (il super-governo d’Europa), e ministro della Giustizia d’Irlanda. E, ovviamente, membro sia della Commissione Trilaterale che del Gruppo Bilderberg.


Secondo organo: Il colosso di Ginevra
Si chiama Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), nacque nel 1994 ed è più potente di qualsiasi nazione o parlamento. Riunisce 153 Paesi in un’unica sede a Ginevra, dove essi dettano le regole del commercio internazionale, e ciò dicendo capirete che stiamo parlando di praticamente tutta l’economia del mondo produttivo, che lì viene decisa. Cioè fette enormi dei nostri posti di lavoro, di ciò che compriamo, mangiamo, con cui ci curiamo ecc., cose della nostra vita quotidiana, non astratte e lontane. Le decidono loro, e come nel caso della nuova Europa del Trattato di Lisbona, anche al WTO le regole emanate, dette Accordi, sono sovranazionali, cioè più potenti delle leggi nazionali. E come nel caso del Trattato, diviene perciò cruciale che regole così forti siano decise in modo democratico. Nel Trattato non lo sono, e al WTO? Neppure. Infatti la sua organizzazione di voto è falsata dallo strapotere dei soliti Paesi ricchi nel seguente modo: i Paesi poveri o meno sviluppati non posseggono le risorse economiche e il personale qualificato in numeri sufficienti per poter seguire il colossale lavoro di stesura degli Accordi del WTO (27.000 pagine di complicatissima legalità internazionale, 2.000 incontri annui), per cui ne sono tagliati fuori. Chi sta al timone è il cosiddetto gruppo QUAD, formato da Usa, Giappone, Canada ed Europa. Ma l'Europa intera è rappresentata al tavolo delle trattative del WTO dalla Commissione Europea, che nessun cittadino elegge, e per essere ancora più precisi vi dico che in realtà chi decide per tutti noi europei è un numero ancora più ristretto di burocrati: il misterioso Comitato 133 della Commissione, formato da specialisti ancor meno legittimati. La politica italiana di norma firma gli Accordi senza neppure leggerli.
Se un Paese si oppone a una regola del WTO può essere processato da un tribunale al suo interno (Dispute Settlement Body), dotato di poteri enormi. Questo tribunale è formato da tre (sic) individui di estrazione economico-finanziaria, le cui sentenze finali sono inappellabili. Una sentenza del WTO può penalizzare o persino ribaltare le scelte democratiche di milioni di cittadini, anche nei Paesi ricchi. Per esempio, tutta l’Europa è stata condannata a risarcire gli USA con milioni di euro perché si è rifiutata di importare la carne americana agli ormoni. Neppure gli Stati Uniti hanno potere sulle decisioni del WTO. Il presidente Obama, sotto pressione dai cittadini a causa della catastrofe finanziaria dello scorso anno, aveva deciso di imporre nuove regole restrittive delle speculazioni selvagge delle banche (la causa della crisi). Ma gli è stato sbarrato il passo proprio da una regola del WTO, che si chiama Accordo sui Servizi Finanziari, e che sancisce l’esatto contrario, cioè proibisce alla Casa Bianca e al Congresso di regolamentare quelle mega banche. E sapete chi, anni fa, negoziò quell’accordo al WTO? Timothy Geithner, attuale ministro del Tesoro USA, che è uno dei membri del Gruppo Bilderberg. Fa riflettere.

Vi do ancora un’idea rapida del potere del WTO. Gli Accordi che ha partorito:

1) hanno il potere di esautorare le politiche sanitarie di qualunque Paese, incrinando il vecchio Principio di Precauzione che ci tutela dallo scambio di merci pericolose (WTO: Accordo Sanitario- Fitosanitario).

2) tolgono al cittadino la libertà di sapere in quali condizioni sono fatte le merci che acquista e con che criteri sono fatte, inoltre ostacolano l’uso delle etichette a tutela del consumatore (WTO: Accordo Sanitario-Fitosanitario & Accordo Barriere Tecniche al Commercio, con implicazioni sui diritti dei lavoratori e sulla tutela dell'ambiente).

3) impongono ai politici di concedere alle multinazionali estere le stesse condizioni richieste alle aziende nazionali nelle gare d’appalto, a prescindere dalla necessità di favorire l’occupazione nazionale; e minacciano le scelte degli amministratori locali nel caso volessero facilitare l'inserimento di gruppi di lavoratori svantaggiati, poiché tali politiche sono considerate discriminazioni al Libero Mercato (WTO: Accordo Governativo sugli Appalti - Principio del Trattamento Nazionale ecc.).

4) accentrano nelle mani di poche multinazionali i brevetti della maggioranza dei principi attivi e delle piante che si usano per i farmaci o per l'agricoltura, poiché permettono la brevettabilità privata delle forme viventi e tutelano quei brevetti per 20 anni. Inoltre, il fatto che i brevetti siano protetti dal WTO per 20 anni sta alla base anche della mancanza di farmaci salva vita nei Paesi poveri. (WTO: Accordo TRIPS sulla Proprietà Intellettuale).

5) stanno promuovendo a tutto spiano la privatizzazione e l’apertura al Libero Mercato estero di praticamente tutti i servizi alla cittadinanza, anche di quelli essenziali come sanità, acqua, istruzione, assistenza agli anziani ecc., con regole che impediranno di fatto agli amministratori locali la tutela dei cittadini meno abbienti che non possono permettersi servizi privati (WTO: Accordo GATS in fase di negoziazione).
E ricordo, se ce ne fosse bisogno, che questi Accordi sono vincolanti su qualsiasi legge nazionale, esautorando quindi i nostri politici dalla gestione della nostra economia nei capitoli che contano.


Terzo organo: I suggeritori
Prendete un disegno di legge e un decreto in campo economico, persino una finanziaria. Pensateli nelle mani dei politici che li attuano, e ora immaginate cosa gli sta dietro. Cosa? I ‘suggeritori’. Chi sono? Sono i lobbisti, coloro cioè che sono ricevuti in privato da ogni politico che conti al mondo e che gli ‘suggeriscono’ (spesso dettano) i contenuti delle leggi e dei decreti, ma anche delle linee guida di governo e persino dei programmi delle coalizioni elettorali. Le lobby non sono l’invenzione di fantasiosi perditempo della Rete. Sono istituzioni con nomi e cognomi, con uffici, con budget (colossali) di spesa, dove lavorano i migliori cervelli delle pubbliche relazioni in rappresentanza del vero Potere.
In ordine di potenza di fuoco, vi sono ovviamente le lobbies internazionali, quelle europee e infine quelle italiane. Parto da queste ultime. Va detto subito che nel nostro Paese l’interferenza dei ‘suggeritori’ non ha mai raggiunto i livelli di strapotere degli omologhi americani o europei, il cui operato tuttavia detta legge per contagio anche in casa nostra. Ma nondimeno essa c’è, e non va trascurata, anche perché in Italia esiste un vuoto normativo totale sull’attività delle lobbies: dopo decine di proposte di legge, nessuna di esse è mai approdata alla Gazzetta Ufficiale. I lobbisti italiani sono circa un migliaio, organizzati in diverse aziende fra cui spunta la Reti , fatturato 6 milioni di euro annui e gestione di un ex d’Alemiano di ferro, Claudio Velardi (altri gruppi: Cattaneo Zanetto & co., VM Relazioni Istituzionali, Burson-Marsteller, Beretta-Di Lorenzo & partners…). La proiezione per il futuro dei ‘suggeritori’ italiani è di almeno diecimila unità entro dieci anni, almeno secondo le richieste dei gruppi più noti. In assenza di regole, dunque, le cose funzionano così: si sfrutta la legge berlusconiana per il finanziamento ai partiti che permette finanziamenti occulti alle formazioni politiche fino a 50.000 euro per ciascun donatore, con la possibilità per la lobby di turno di far versare 49.999 euro dal banchiere A, altri 49.999 da sua moglie, altri 49.999 da suo figlio, ecc. all’infinito. In questo modo, con una stima basata sui bilanci passati, si calcola che il denaro sommerso versato alla politica italiana ammonti a diverse decine di milioni di euro all’anno, provenienti dai settori edile, autostradale, metallurgico, sanitario privato, bancario, televisivo, immobiliare fra gli altri. Le ricadute sui cittadini sono poi leggi e regolamenti che vanno a modificare spesso in peggio la nostra economia di vita e di lavoro. Un solo dato che fa riflettere: mentre appare ovvio che le grosse cifre siano spese per i ‘suggerimenti’ ai due maggiori partiti italiani, colpisce che l’UDC si sia intascata in offerte esterne qualcosa come 2.200.000 euro nel 2008, di cui l’80% da un singolo lobbista (l’immobiliarista Caltagirone). Chi di voi pensa ancora che il Potere siano i politici a Roma, pensi alla libertà di Pierferdinando Casini nel legiferare in campo immobiliare, tanto per fare un esempio. Ma non solo: Antonio di Pietro incassa 50.000 euro dalla famiglia Lagostena Bassi, che controlla il mercato delle Tv locali ma che contemporaneamente serve Silvio Berlusconi e foraggia la Lega Nord. Un obolo a fondo perduto? Improbabile. Il Cavaliere poi, non ne parliamo neppure; è fatto noto che il criticatissimo ponte sullo stretto di Messina, con le ricadute che avrà su tutti gli italiani, non è certo figlio delle idee di Berlusconi, piuttosto di tal Marcellino Gavio, titolare del gruppo omonimo e primo in lizza per l’impresa, ma anche primo come finanziamenti al PDL con i 650.000 euro versati l’anno scorso.

I ‘suggeritori’ americani… che dire. Negli USA l’industria delle lobby economiche non è più neppure riconoscibile dal potere politico, veramente non si capisce dove finiscano le prime e dove inizi il secondo. Troppo da raccontare, una storia immensa, che posso però riassumere con alcuni sketch. Lobby del petrolio e amministrazione di George W. Bush, risultato: due guerre illegali e sanguinarie (Iraq e Afghanistan), montagne di morti (oltre 2 milioni), crimini di guerra, l’intera comunità internazionale in pericolo, il prezzo del petrolio alle stelle, di conseguenza il costo della nostra vita alle stelle, ma alle stelle anche i profitti dei petrolieri. Chi ha deciso? Risposta: i membri della sopraccitata lobby del petrolio, che sono Dick Cheney, James Baker III, l’ex della Enron Kenneth Lay, il presidente del Carlyle Group Frank Carlucci, Robert Zoellick, Thomas White, George Schultz, Jack Sheehan, Don Evans, Paul O’Neil; a servizio di Shell, Mobil, Union Carbide, Huntsman, Amoco, Exxon, Alcoa, Conoco, Carlyle, Halliburton, Kellog Brown & Root, Bechtel, e Enron. George W. Bush è il politico più ‘oliato’ nella Storia americana, con, solo dalle casse dei giganti di petrolio e gas, un bottino di oltre 1 milione e settecentomila dollari.
Lobby finanziaria/assicurativa e Barak Obama: nel 2008 crollano le banche USA dopo aver truffato milioni di esseri umani e migliaia di altre banche internazionali, 7 milioni di famiglie americane perdono il lavoro, l’intera economia mondiale va a picco, Italia inclusa. Obama firma un’emorragia di denaro pubblico dopo l’altra per salvare il deretano dei banchieri truffatori e per rianimare l’economia (dai 5 mila miliardi di dollari agli 11 mila secondo le stime), senza che neppure uno di quei gaglioffi finisca in galera. Anzi: il suo governo ha chiamato a ripulire i disastri di questa crisi globale gli stessi personaggi che l’hanno creata. Invece di farli fallire e di impiegare il denaro pubblico per la gente in difficoltà, Obama e il suo ministro del Tesoro Timothy Geithner gli hanno offerto una montagna di denaro facile affinché comprino i debiti delle banche fallite. Funziona così: questi delinquenti hanno ricevuto da Washington l’85% del denaro necessario per comprare quei debiti, mentre loro ne metteranno solo il 15%. Se le cose gli andranno bene, se cioè ritorneranno a guadagnare, si intascheranno tutti i profitti; se invece andranno male, essi ci rimetteranno solo il 15%, perché l’85% lo ha messo il governo USA e non è da restituire (i fondi così regalati si chiamano non-recourse loans). E’ il solito “socialismo al limone: le perdite sono dei contribuenti e i profitti sono degli investitori privati”. Non solo: il presidente propone nell’estate del 2009 una regolamentazione del settore finanziario che il Washington Post ha deriso definendola “Priva di un’analisi delle cause della crisi… e senza alcun vero controllo sugli hedge funds, gli equity funds, e gli investitori strutturati”, cioè nessun vero limite agli speculatori che causarono la catastrofe. Domanda: quanto denaro ha preso Obama in campagna elettorale dalle lobby finanziarie? Risposta: 38 milioni di dollari. Allora, chi comanda? Il Presidente o le lobby del Potere?

Poi ci sono i 45 milioni di americani senza assistenza sanitaria. Obama propone una falsa riforma della Sanità per tutelare gli esclusi, ma che, nonostante le sciocchezze scritte dai media italiani, non ha nulla di pubblico ed è un ulteriore regalo ai giganti delle assicurazioni private americane. Domanda: quanto denaro ha preso Obama in campagna elettorale dalle lobby assicurative e sanitarie? Risposta: oltre 20 milioni di dollari. Allora, chi comanda? Il Presidente o le lobby del Potere?
Washington è invasa ogni santo giorno da qualcosa come 16.000 o 40.000 lobbisti a seconda che siano registrati o meno, la cui percezione del potere che esercitano è cristallina al punto da spingere uno di loro, Robert L. Livingston, a sbottare entusiasta “Ci sono affari senza limiti per noi là fuori!”, mentre dalle finestre del suo ufficio spiava le sedi del Congresso USA.
Ma l’ultimo sketch del potere dei ‘suggeritori’, sempre in ambito americano, è quello delle lobby ebraiche. Qui il dibattito è aperto, fra coloro che sostengono che sono quelle lobby a gestire interamente la politica statunitense nel teatro mediorientale, e coloro che lo negano. Personalmente credo più alla prima ipotesi, ma la sostanza non cambia: di fatto ci troviamo ancora una volta di fronte alla dimostrazione che neppure il governo più potente del mondo può sottrarsi ai condizionamenti del Potere vero. Ecco un paio di illustri esempi: nella primavera del 2002, proprio mentre l’esercito israeliano reinvadeva i Territori Occupati con i consueti massacri indiscriminati di civili, un gruppo di eminenti sostenitori americani d’Israele teneva una conferenza a Washington, dove a rappresentare l’amministrazione di George W. Bush fu invitato l’allora vice ministro della difesa Paul Wolfowitz, noto neoconservatore di estrema destra e aperto sostenitore della nazione ebraica. Lo scomparso Edward Said, professore di Inglese e di Letteratura Comparata alla Columbia University di New York e uno degli intellettuali americani più rispettati del ventesimo secolo, ha raccontato un particolare di quell’evento con le seguenti parole: “Wolfowitz fece quello che tutti gli altri avevano fatto – esaltò Israele e gli offrì il suo totale e incondizionato appoggio – ma inaspettatamente durante la sua relazione fece un fugace riferimento alla ‘sofferenza dei palestinesi’. A causa di quella frase fu fischiato così ferocemente e per così a lungo che non potè terminare il suo discorso, abbandonando il podio nella vergogna.” Stiamo parlando di uno dei politici più potenti del terzo millennio, di un uomo con un accesso diretto alla Casa Bianca e che molti accreditano come l’eminenza grigia dietro ogni atto dello stesso ex presidente degli Stati Uniti. Eppure gli bastò sgarrare di tre sole parole nel suo asservimento allo Stato d’Israele per essere umiliato in pubblico e senza timori da chi, evidentemente, conta più di lui nell’America di oggi. Le lobby ebraiche d’America hanno nomi noti: AIPAC (American Israel Public Affairs Committee), ZOA (Zionist Organization of America), AFSI (Americans for a Safe Israel), CPMAJO (Conference of Presidents of Major American Jewish Organisatios), INEP (Institute for Near East Policy), JDL (Jewish Defense League), B’nai Brith, ADL (Anti Defamation League), AJC (American Jewish Committee), Haddasah. Nei corridoi del Congresso americano possono creare seri grattacapi a Senatori e Deputati indistintamente. Un fronte compatto che secondo lo stesso Edward Said “può distruggere una carriera politica staccando un assegno”, in riferimento alle generose donazioni che quei gruppi elargiscono ai due maggiori partiti d’oltreoceano.

Nel 1992 George Bush senior ebbe l’ardire (e la sconsideratezza) a pochi mesi da una sua possibile rielezione alla Casa Bianca di minacciare Tel Aviv con il blocco di dieci miliardi di dollari in aiuti se non avesse messo un freno agli insediamenti ebraici nei Territori Occupati. Passo falso: gli elettori ebrei americani, che già per tradizione sono propensi al voto Democratico, svanirono davanti ai suoi occhi in seguito alle sollecitazioni delle lobby, e nel conto finale dei voti Bush si trovò con un misero 12% dell’elettorato ebraico contro il 35% che aveva incassato nel 1988. Al contrario, la campagna elettorale del suo rivale Bill Clinton fu invece innaffiata dai lauti finanziamenti proprio di quelle organizzazioni di sostenitori d’Israele, che l’allora presidente aveva in tal modo alienato.
E in ultimo l’Europa, cioè l’Unione Europea. Che alla fine significa Brussell, cioè la Commissione Europea , che è il vero centro decisionale del continente, e che dopo la ratifica del Trattato di Lisbona è divenuta il super governo non eletto di tutti noi, con poteri immensi. A Brussell brulicano dai 15.000 ai 20.000 lobbisti, che spendono un miliardo di euro all’anno per ‘suggerire’ le politiche e le leggi a chi le deve formulare. E come sempre, eccovi i nomi dei maggiori gruppi: Trans Atlantic Business Dialogue (TABD) - European Services Leaders Group (ESLG) – International Chamber of Commerce (ICC) – Investment Network (IN) – European Roundtable of Industrialists (ERT) – Liberalization of Trade in Servicies (LOTIS), European Banking Federation, International Capital Market Association e altri. Il loro strapotere può essere reso dicendovi che per esempio l’Investment Network si riuniva direttamente dentro il palazzo della Commissione Europea a Bruxelles, o che il TABD compilava liste di suoi desideri che consegnava alla Commissione da cui poi pretendeva un resoconto scritto sull’obbedienza a quegli ordini. Le aziende rappresentate sono migliaia, fra cui cito una serie di nomi noti: Fiat e Pirelli, Barilla, Canon e Kodak, Johnson & Johnson, Motorola, Ericsson e Nokia, Time Warner, Rank Xerox e Microsoft, Boeing (che fa anche armi), Dow Chemicals, Danone, Candy, Shell, Microsoft, Hewlett Packard, IBM, Carlsberg, Glaxo, Bayer, Hoffman La Roche , Pfizer, Merck, e poi banche, assicurazioni, investitori…
Mi fermo. Il rischio nel continuare è che si perda di vista il punto capitale, ovvero l’assedio che i lobbisti pongono alla politica. Esso, oltre a dimostrare ancora una volta che il potere reale sta nei primi e non nella seconda, è un vero e proprio attentato alla democrazia. Poiché ha ormai snaturato del tutto il principio costituzionale di ogni nazione civile, secondo cui i rappresentanti eletti devono fare gli interessi delle maggioranze dei cittadini e tutelare le minoranze, non essere gli stuoini delle elite e dei loro ‘suggeritori’.


Quarto organo: Think Tanks
Letteralmente “serbatoi di pensiero” nella traduzione in italiano, le Think Tanks sono esattamente ciò, ovvero fondazioni dove alcuni fra i migliori cervelli si trovano per partorire idee. Il loro potere sta nell’assunto che apre questa mia trattazione, e cioè che sono le idee a dominare sia la Storia che la politica, e di conseguenza la nostra vita, in particolare l’idea economica. Lewis Powell lo comprese assai bene nel 1971, quando diede il via alla riscossa delle elite e alla fine della democrazia partecipativa dei cittadini (si legga ‘Ecco come morimmo’, paolobarnard.info). Infatti egli scrisse: “C’è una guerra ideologica contro il sistema delle imprese e i valori della società occidentale”. La parola ‘ideologica’ è la chiave di lettura qui, volendo dire che se le destre economiche ambivano a riconquistare il mondo, se ambivano a sottomettere la politica, cioè a divenire il vero Potere, si dovevano armare di idee in grado di scalzare ogni altro sistema di vita. Ecco che dalle sue parole nacquero le prime Think Tanks, come la Heritage Foundation , il Manhattan Institute, il Cato Institute, o Accuracy in Academe. La loro strategia era semplice: raccogliere denaro da donatori facoltosi, raccattare nelle università i cervelli più brillanti, pomparli di sapere a senso unico, di attestati prestigiosi, e immetterli nel sistema di comando della società infiltrandolo tutto. Per darvi un’idea di che razza di impatto queste Think Tanks sono riuscite ad avere, cito alcuni fatti. Nel solo campo del Libero Mercato, cioè dell’idea economica del vero Potere, ve ne sono oggi 336, piazzate oltre che nei Paesi ricchi anche in nazioni strategiche come l’Argentina e il Brasile, l’Est Europa, l’Africa, l’India, la Cina , le ex repubbliche sovietiche dell’Asia, oltre che in Italia (Adam Smith Soc., CMSS, ICER, Ist. Bruno Leoni, Acton Ist.). Alcune hanno nomi sfacciati, come la Minimal Government , la The Boss , o la Philanthropy Roundtable ; una delle più note e aggressive è l’Adam Smith Institute di Londra, che ostenta un’arroganza di potere tale da vantare come proprio motto questo: “Solo ieri le nostre idee erano considerate sulla soglia della follia. Oggi stanno sulle soglie dei Parlamenti”. Di nuovo, il fatto è sempre lo stesso: la politica è la marionetta, o, al meglio, è il braccio esecutivo del vero Potere. Infatti, l’osservatore attento avrà notato che assai spesso i nostri ministri economici, i nostri banchieri centrali, ma anche presidenti del consiglio (Draghi e Prodi su tutti) si trovano a cene o convegni presso queste fondazioni/Think Tanks, di cui in qualche raro caso i Tg locali danno notizia. In apparenza cerimonie paludate e noiose, in realtà ciò che vi accade è che ministri, banchieri e premier vi si recano per dar conto di ciò che hanno fatto per compiacere all’idea economica del vero Potere. Nel 1982, l’Adam Smith pubblicò il notorio Omega Project, uno studio che ebbe ripercussioni enormi sulla gestione delle nostre vite di lavoratori ordinari, e dove si leggeva che i suoi scopi erano di “fornire un percorso completo per ogni governo basato sui principi di Libero Mercato, minime tasse, minime regolamentazioni per il business e governi più marginali (sic)”. In altre parole tutto ciò che ha già divorato la vita pubblica in Gran Bretagna, Francia, Stati Uniti e che sta oggi “sulla soglia del Parlamento” in Italia.


Quinto organo: l’Europa dei burocrati non eletti
Non mi ripeto, poiché questo capitolo è già esaustivamente descritto qui http://www.paolobarnard.info/intervento_mostra_go.php?id=139. Ma ribadisco il punto centrale: dopo la ratifica del “colpo di Stato in Europa” che prende il nome di Trattato di Lisbona, 500 milioni di europei saranno a breve governati da elite di burocrati non eletti secondo principi economici, politici e sociali interamente schierati dalla parte del vero Potere di cui si sta trattando qui, e che nessuno di noi ha potuto scegliere né discutere. Il governo italiano ha ratificato questo obbrobrio giuridico senza fiatare, obbedendo come sempre.


Sesto Organo: il Tribunale degli Investitori e degli Speculatori Internazionali
Era il 16 Settembre del 1992, un mercoledì. Quel giorno un singolo individuo decise di spezzare la schiena alla Gran Bretagna. Si badi bene, non al Burkina Faso, alla Gran Bretagna. E lo fece. George Soros, un investitore e speculatore internazionale, vendette di colpo qualcosa come 10 miliardi di sterline, causando il collasso del valore della moneta inglese che fu così espulsa dal Sistema Monetario Europeo. Soros si intascò oltre 1 miliardo di dollari, ma milioni di inglesi piansero lacrime amare e il governo di Londra ne fu umiliato.
Era l’agosto del 1998, e nel caldo torrido di New York un singolo individuo contemplò il crollo dei mercati mondiali per causa sua. John Meriwether, un investitore e speculatore internazionale, aveva giocato sporco per anni e irretito praticamente tutte le maggiori banche del mondo con 4,6 miliardi di dollari ad alto rischio. La sua compagnia, Long-Term Capital Management, era nota a Wall Street perché i suoi manager si fregiavano del titolo di ‘I padroni dell’universo’, cioè pochi individui ubriachi del proprio potere. Meriwether perse tutto, e i mercati del mondo, che alla fine sono i nostri posti di lavoro, tremarono. La Federal Reserve di New York dovette intervenire in emergenza col solito salvataggio a spese dei contribuenti.
Era l’anno scorso, e in un ufficio londinese dell’assicurazione americana AIG, un singolo individuo, di nuovo un investitore e speculatore internazionale di nome Joseph Cassano, dovette prender su la cornetta del telefono e dire alla Casa Bianca “… ho mandato al diavolo la vostra economia, sorry”. E lo aveva veramente fatto. Questa volta la truffa dei suoi investimenti era di 500 miliardi di dollari, le solite banche internazionali (italiane incluse) vi erano dentro fino al collo con cifre da migliaia di miliardi di dollari a rischio. Panico mondiale, fine del credito al mondo del lavoro di quasi tutto il pianeta e, sul piatto di noi cittadini, ecco servita la crisi economica più pericolosa dal 1929 a oggi. Ovvero le solite lacrime amare, veramente amare, per le famiglie di Toronto come per quelle di Perugia, per quelle di Cincinnati come per quelle di Lione, a Vercelli come a Madrid ecc. Per non parlare degli ultimi della Terra…

Tre storie terribilmente vere, che descrivono chiaro, anzi, chiarissimo, cosa si intende per il ‘Tribunale degli Investitori e degli Speculatori Internazionali’, e quale sia il loro sterminato potere nel mondo di oggi. Altro che Tremonti o Confindustria. Nel mondo odierno esiste una comunità di singoli individui privati capaci di movimentare quantità di ricchezze talmente colossali da scardinare in poche ore l’economia di un Paese ricco, o le economie di centinaia di milioni di lavoratori che per esse hanno faticato un’intera vita, cioè famiglie sul lastrico, aziende che chiudono. Le loro decisioni sono come sentenze planetarie. Inappellabili. Si pensi, se è possibile pensare un’enormità simile, che costoro stanno facendo oscillare sul Pianeta qualcosa come 525 mila miliardi di dollari in soli prodotti finanziari ‘derivati’, cioè denaro ad altissimo rischio di bancarotta improvvisa. 525 mila miliardi… Vi offro un termine di paragone per capire: il Prodotto Interno Lordo degli USA è di 14 mila miliardi di dollari. Rende l’idea? L’Italia dipende come qualsiasi altra nazione dagli investitori esteri, per cifre che si aggirano sui 40 miliardi di euro all’anno, cioè più di due finanziarie dello Stato messe assieme. Immaginate se una cifra simile dovesse sparire dalla nostra economia oggi. Nel 2008 è quasi successo, infatti ne sono scomparsi di colpo più della metà (57%) col risultato in termini di perdita di posti di lavoro, precarizzazione, e relativo effetto domino sull’economia di cui ci parla la cronaca. Ripeto: qualcuno che non sta a palazzo Chigi, decide che all’Italia va sottratto il valore di oltre un’intera finanziaria. Così, da un anno all’altro, una cifra pari a tutto quello che lo Stato riesce a spendere per i cittadini gli viene sottratta dal ‘Tribunale degli Investitori e degli Speculatori Internazionali’, a capriccio. Questa tirannia del vero Potere prende il nome tecnico di Capital Flight (letteralmente capitali che prendono il volo), ed è interessante constatare il candore con cui il ‘Tribunale’ descrive la pratica: basta leggere Investors.com là dove dice che “Capital Flight è lo spostamento di denaro in cerca di maggiori profitti… cioè flussi enormi di capitali in uscita da un Paese… spesso così enormi da incidere su tutto il sistema finanziario di una nazione”. Peccato che di mezzo ci siano i soliti ingombranti esseri umani a milioni. Oltre al caso italiano, si pensi alla Francia, altro Stato ricco e potente, ma non a sufficienza per sfuggire alle sentenze del ‘Tribunale’, che ha punito l’Eliseo con una fuga di capitali pari a 125 miliardi di dollari per aver legiferato una singola tassa sgradita al business.


Conclusione
Gli organi esecutivi del vero Potere non si limitano a questi sei, vi si potrebbe aggiungere il World Economic Forum, il Codex Alimentarius, l’FMI, il sistema delle Banche Centrali, le multinazionali del farmaco. Ma quelli menzionati sono gli essenziali da conoscere, i primari. Un’ultima brevissima nota va dedicata alle mafie regionali, che sono spesso erroneamente annoverate fra i poteri forti (e non posso purtroppo entrare qui nel perché siano un così caratteristico fenomeno italiano). La lotta ad esse è sacrosanta, ma il potere che gli verrebbe sottratto da una eventuale vittoria della società civile è prima nulla a confronto di quanto illustrato sopra, e in secondo luogo è comunque un potere concessogli da altri. Traffico di droga, prostituzione, traffico d’armi, e riciclaggio di rifiuti tossici sono servizi che le mafie praticano per conto di committenti sempre riconducibili al vero Potere, o perché da esso condizionati oppure perché suoi ingranaggi importanti. Serva qui quanto mostrato nel 1994 dal programma d’inchiesta ‘Panorama’ della BBC, dove un insider della criminalità organizzata britannica si rese disponibile a condurre il reporter nel cuore della “mafia più potente del mondo”, a Londra. L’auto su cui viaggiavano con telecamera nascosta si fermò a destinazione… nel centro della City finanziaria della capitale. Indicando dal finestrino i grattacieli dei giganti del business internazionale, il pentito disse: “Eccoli, stanno tutti lì”. (si pensi che il giro d’affari mondiale delle Cosche è stimato sugli 80 miliardi di dollari, che sono un terzo del giro d’affari di una singola multinazionale del farmaco come la Pfizer )

Se queste mie righe sono state efficaci, a questo punto i lettori dovrebbero volgere lo sguardo a quegli ometti in doppiopetto blu che ballonzolano le sera nei nostri Tg con il prefisso On., o il suffisso PDL, PD, UDC, e dovrebbero averne, non dico pietà, ma almeno vederli per quello che sono: le marionette di un altro Potere. Ma soprattutto, i lettori dovrebbero finalmente poter connettere i punti del puzzle, e aver capito da dove vengono in realtà i problemi capitali della nostra vita di cittadini, o addirittura i drammi quotidiani che tante famiglie di lavoratori patiscono, cioè chi li decise, chi li decide oggi e come si chiamano costoro. Da qui una semplice considerazione: se vi sta a cuore la democrazia, la giustizia sociale, e la vostra economia quotidiana di lavoro e di servizi essenziali alla persona, allora dovete colpire chi veramente opera per sottrarceli, cioè il vero Potere. Ci si organizzi per svelarlo al grande pubblico e per finalmente bloccarlo. Ora lo conoscete, e soprattutto ora sapete che razza di macchina micidiale, immensa e possente esso è. Risulta ovvio da ciò che gli attuali metodi di lotta dei Movimenti sono pietosamente inadeguati, infantili chimere, fuochi di paglia, che mai un singolo attimo hanno impensierito quel vero Potere. Di conseguenza lancio un appello ancora una volta:

VA COMPRESO CHE PER ARGINARE UN TITANO DI QUELLA POSTA L’UNICA SPERANZA E’ OPPORGLI UN’ORGANIZZAZIONE DI ATTIVISTI E DI COMUNICATORI ECCEZIONALMENTE COMPATTA, FINANZIATA, FERRATA, DISCIPLINATA, SU TUTTO IL TERRITORIO, AL LAVORO SEMPRE, IMPLACABILE, NEI LUOGHI DELLA GENTE COMUNE, PER ANNI.

Altra speranza non c’è, sempre che ancora esista una speranza.




giovedì 6 maggio 2010

Storia della canapa italiana nel '900

da www.gruppofibranova.it



Agli inizi del Novecento l'Italia rappresentava la seconda nazione al mondo per la quantità di canapa tessile prodotta ed era preceduta, in questa graduatoria, dalla sola Russia.
A quell'epoca, nel nostro Paese gli ettari destinati a tale coltura ammontavano ad oltre 100.000 con un rendimento annuo che sfiorava gli 800.000 quintali.
Nel 1914 la provincia di Ferrara produceva 363.000 quintali di canapa, contro i 157.000 della provincia di Caserta, i 145.000 della provincia di Bologna e gli 89.000 del napoletano.
Negli anni a seguire, in tutto il territorio nazionale vi fu una progressiva riduzione della superficie coltivata a canapa e, conseguentemente, della fibra prodotta: si passò così da un massimo di 85.000 ettari coltivati, con una produzione complessiva di un milione di quintali, ai 1.860 ettari del 1969 con soli 21.000 quintali di prodotto fino ad arrivare, nel 1970, ad un minimo di 899 ettari con un rendimento di appena 10.000 quintali.
La crisi della canapa, già iniziata nel 1958 con la scomparsa totale della produzione in Val Padana, completò la sua fase nel 1964 quando anche la Campania, ultima regione che ancora tentava di contrastarne l'inesorabile recessione, fu costretta a desistere.
Ne conseguì che mentre questo evento non rappresentò difficoltà insormontabili per i grossi agricoltori, che passarono rapidamente a colture diverse, o per gli industriali del settore, che non tardarono ad adeguare i loro impianti alla lavorazione di fibre sostitutive, costituì invece un autentico dramma per i lavoratori del settore, specialmente per quelli più anziani, per i piccoli artigiani e per le caratteristiche filatrici, che videro svanire quella pur minima, faticosa ma importante fonte di reddito.
Di fatto, sin dal 1929, quando ormai si era manifestata al mondo nella sua totalità quella che fu definita "la grande crisi", vi furono gravi preoccupazioni in campo economico, ma, mentre le nazioni più attente adottarono tempestivamente misure protettive, in Italia solamente nel 1933 furono emanati i primi provvedimenti e costituiti i Consorzi provinciali obbligatori per la difesa della canapicoltura, che, dopo vicissitudini varie, si concentrarono, a partire dal 1953, nel Consorzio Nazionale Produttori Canapa.
A nulla valsero imponenti manifestazioni di canapicoltori come quella del 12 dicembre 1946 a Caserta e convegni di studi ad alto livello, né sortirono alcun effetto gli interventi dell'O.M.C.E., che, esortando a migliorare ed incentivare la produzione della canapa e del lino, costituì una Confederazione Europea del Lino e dalla Canapa. Analogamente a nulla servì l'accorato dibattito sulla crisi della canapicoltura tenutosi il 12 agosto del 1951 a Frattamaggiore (NA), che vide la partecipazione di tutti i parlamentari della Provincia, né giovò alla causa il Convegno di Ferrara del 29-30 gennaio 1955.
Vi fu, senza dubbio, all'epoca una decisa volontà governativa di non intervenire, malgrado le numerose sollecitazioni pervenute da più forze politiche, e fu così che la coltivazione della canapa venne abbandonata in favore di fibre sintetiche, resistenti, poco costose e facili da ottenere, prevalentemente in campo nautico, ma soprattutto in favore del cotone che nello stesso periodo venne favorito da notevoli progressi nella meccanizzazione della raccolta e nelle successive fasi di filatura.
Tra le cause concomitanti, che portarono alla crisi nel settore canapicolo, un posto rilevante lo ebbe sicuramente il sistema di lavorazione della canapa nell'azienda agraria, che richiedeva un impiego complessivo di circa 1.200 ore di manodopera per ettaro, fra i più alti di tutte le colture a pieno campo. Se da un lato questo garantiva occupazione a circa 30 mila operai dall'altro offriva condizioni di lavoro particolarmente difficili, soprattutto nella fase della macerazione in acqua degli steli raccolti in fasci.
Con l’abbandono del lavoro agricolo e delle campagne, avvenuto in modo massiccio negli anni ’60, sono venute a mancare le basi materiali ed umane perché la lavorazione potesse continuare e a questo si è aggiunto l’arrivo di nuove fibre sintetiche che hanno largamente rimpiazzato la canapa nei filati tradizionali. Per questo motivo tra gli anni '50-'60 vennero indetti concorsi annuali per la progettazione di macchine, che permisero una maggiore automazione delle varie fasi di coltivazione e trasformazione della materia prima a fini tessili.
La macerostigliatura rappresenta l'ultimo tentativo, mai realizzato, di rilanciare la coltivazione della canapa nel comprensorio bolognese. Secondo questo innovativo processo di lavorazione, la laboriosa fase di macerazione non sarebbe più stata realizzata in azienda, ma in un impianto industriale. Il progetto prevedeva una stigliatura verde in azienda, cioè sugli steli ancora freschi ed una successiva macerazione industriale della fibra così ottenuta. Nonostante questo procedimento diminuisse l'impiego di manodopera a livello aziendale e permettesse un maggior controllo del delicato processo di macerazione, i progetti che lo descrivevano non sono mai stati realizzati per il concomitante collasso del mercato della canapa.
Da allora in Italia la canapa è rimasta il ricordo di una cultura contadina sempre più lontana. L'intensificazione dei mezzi tecnici di produzione, la realizzazione di macchine agricole sempre più sofisticate, il progressivo cambiamento delle specie coltivate e soprattutto del loro miglioramento genetico hanno fatto progressivamente svanire anche il ricordo dell'antica coltivazione della canapa. Volere coltivare canapa, anche solo per passione è diventato col tempo impossibile. Si è persa la tecnica di coltivazione, sono arrugginite le macchine stigliatrici, sono state perfino smarrite le gloriose varietà italiane un tempo considerate generatrici della miglior canapa del mondo. A questo si deve oltretutto aggiungere una legislazione orba, che accomunava la canapa da fibra a quella da droga, rendendone la coltivazione una pratica illegale. Dalla seconda metà degli anni '90 le cose sembrano essere cambiate ed un rinnovato interesse sembra aver riportato la canapa alla ribalta, se non della coltivazione almeno della cronaca.
Sicuramente grande risonanza ha avuto la canapa impropriamente denominata "indiana", ma la canapa tradizionale, da fibra, ha trovato nuovi estimatori e sostenitori in seno al movimento ecologista, in quanto coltura naturale, a basso impatto ambientale, che non necessità di input chimici per la coltivazione ed in grado di rinettare il terreno dalle erbe infestanti e quindi apportare un benefico effetto sul terreno stesso. Oltre a questo l'agricoltura europea malata di sovrapproduzione ed eccessiva intensificazione ha cominciato a guardare alle cosiddette colture no food, per diversificare ordinamenti colturali troppo serrati e poco sostenibili.
Nel 1998 si è ripreso a coltivare la canapa da fibra grazie al contributo CEE (circa 1.300.000 lire per ogni ettaro coltivato) e ne sono stati seminati 255 ha; nel 1999 180 ha, mentre nel 2000 sono stati poco più di 150 ha.Gli incentivi comunitari del '98 non sono però bastati per rilanciare la canapa in Italia, in quanto l'applicazione delle leggi, che disciplinano gli stupefacenti, tra cui il D.P.R. n° 309 del 9-10-1990, ha fatto temere a molti agricoltori, anche se in regola con le disposizioni vigenti, di incorrere comunque in provvedimenti penali. Nel 2001 è entrata in vigore la norma comunitaria (regolamento C.E. n° 2860/2000), che stabilisce il nuovo limite massimo ammesso di THC (tetraidrocannabinolo): passando dal precedente 0,3% allo 0,2%. Questo provvedimento, che appare riduttivo ai fini di un presunto controllo della produzione di sostanze stupefacenti, essendo le varietà da droga dotate di un contenuto in THC spesso superiore al 10%, sembra aver avuto l'unico effetto di escludere dal mercato le varietà da fibra ungheresi, che superavano di poco il nuovo limite. Un altro impedimento è stato rappresentato dall'assenza di utilizzatori riconosciuti e inclusi nell'elenco dei primi trasformatori della materia prima, che non consente ai produttori di vendere in tempi brevi e a prezzi interessanti il loro raccolto.
La mancanza di seme delle varietà Carmagnola, CS e Fibranova, tutte varietà italiane incluse nell'elenco delle coltivazioni di canapa ammesse ad ottenere i contributi comunitari, ha ulteriormente ostacolato le scelte dei canapicoltori, che sono stati costretti ad acquistare all’estero e ad affidarsi a contratti sfavorevoli.
La disponibilità di seme è oltretutto condizionata da esigenze di programmazione delle attività di moltiplicazione, dalla scarsa terminabilità delle sementi stoccate per più di 6 mesi ed anche dalle continue variazioni delle norme comunitarie. Tutto questo rende molto arduo poter programmare per più anni le superfici da destinare alla coltura della canapa.Ad oggi registriamo la costruzione di un impianto di stigliatura a Comacchio (Fe), che và ad aggiungersi ad un altro che opera da qualche tempo a Guastalla. Nel 2003, grazie ai contratti di ritiro stipulati con gli agricoltori, sono stati messi a coltura circa 1000 ha di canapa, prevalentemente in Emilia Romagna.
Ad oggi registriamo l’avvio di un progetto pilota sulla macero stigliatura, TOSCANAPA, che mette in grado aziende e ricercatori di costruire impianti innovativi e di trasferire le conoscenze acquisite su scala produttiva industriale.
Ad oggi registriamo l’approvazione della legge regionale n°12/2002 in Toscana che, prima nel suo genere, prevede il finanziamento di un progetto pilota di filiera ed altre misure di sostegno per l’avvio del sistema agro industriale.

La vera storia: perchè la marijuana fu proibita

da www.luogocomune.net
di Massimo Mazzucco



La marijuana (spagnolo), o cannabis (latino) o hemp (inglese) è una pianta che si potrebbe definire miracolosa, ed ha una storia lunga almeno quanto quella dell'umanità. Unica pianta che si può coltivare a qualunque latitudine, dall'Equatore alla Scandinavia, ha molteplici proprietà curative, cresce veloce, costa pochissimo da mantenere, offre un olio di ottima qualità (molto digeribile), ed ha fornito, dalle più antiche civiltà fino agli inizi del secolo scorso, circa l'80 per cento di ogni tipo di carta, di fibra tessile, e di combustibile di cui l'umanità abbia mai fatto uso.
E poi, cosa è successo? E' successo che in quel periodo è avvenuto il clamoroso sorpasso dell’industria ai danni dell'agricultura, e di questo sorpasso la cannabis è stata chiaramente la vittima numero uno.


I nascenti gruppi industriali americani puntavano soprattutto allo sfruttamento del petrolio per l’energia (Standard Oil - Rockefeller), delle risorse boschive per la carta (editore Hearst), e delle fibre artificiali per l’abbigliamento (Dupont) – tutti settori nei quali avevano investito grandi quantità di denaro. Ma avevano di fronte, ciascuno sul proprio terreno, questo avversario potentissimo, e si unirono così per formare un'alleanza sufficientemente forte per batterlo.


L'unica soluzione per poter tagliare di netto le gambe ad un colosso di quelle dimensioni risultò la messa al bando totale. L’illegalità. Partì quindi un'operazione mediatica di demonizzazione, rapida, estesa ed efficace ("droga del diavolo", "erba maledetta" ecc. ), grazie agli stessi giornali di Hearst (è il famoso personaggio di Citizen Kane/Quarto Potere, di O. Wells), il quale ne aveva uno praticamente in ogni grande città. Sensibile al denaro, e sempre alla ricerca di temi di facile presa popolare, Hollywood si accodò volentieri alla manovra, contribuendo in maniera determinante a porre il sigillo alla bara della cannabis.

La condanna morale viaggiava rapida e incontrastata da costa a costa (non c’era la controinformazione!), e di lì a far varare una legge che mettesse la cannabis fuori legge fu un gioco da ragazzi. Anche perchè pare che i tre quarti dei senatori che approvarono il famoso "Marijuana Tax Act" del 1937, tutt'ora in vigore, non sapevano che marijuana e cannabis fossero la stessa cosa: sarebbe stato il genio di Hearst ad introdurre il nomignolo, mescolando le carte per l'occasione.

Fatto sta che a partire da quel momento Dupont inondava il mercato con le sue fibre sintetiche (nylon, teflon, lycra, kevlar, sono tutti marchi originali Dupont), il mercato dell'automobile si indirizzava definitivamente all'uso del motore a benzina (il primo motore costruito da Diesel funzionava con carburante vegetale), e Hearst iniziava la devastazione sistematica delle foreste del Sudamerica, dal cui legno trasse in poco tempo la carta sufficiente per mettere in ginocchio quel poco che era rimasto della concorrenza.

Al coro di benefattori si univa in seguito il consorzio tabaccai, che generosamente si offriva di porre rimedio all'improvviso “vuoto di mercato” con un prodotto cento volte più dannoso della cannabis stessa.

E le "multinazionali" di oggi, che influenzano fortemente tutti i maggiori governi occidentali, non sono che le discendenti dirette di quella storica alleanza, nata negli anni '30, fra le grandi famiglie industriali. (Nel caso qualcuno si domandasse perchè mai la cannabis non viene legalizzata nemmeno per uso medico, nonostante gli innegabili riscontri positivi in quel senso).

Come prodotto tessile, la cannabis è circa quattro volte più morbida del cotone, quattro volte più calda, ne ha tre volte la resistenza allo strappo, dura infinitamente di più, ha proprietà ignifughe, e non necessita di alcun pesticida per la coltivazione. Come carburante, a parità di rendimento, costa circa un quinto, e come supporto per la stampa circa un decimo.

Abbiamo fatto l'affare del secolo.