mercoledì 16 dicembre 2009

Copenhagen e le 3 apocalissi del sistema

da www.iarnoticias.com
13 dicembre 2009
di Manuel Freytas



In tutti i summit sul “cambiamento climatico” come quello di Rio, Johannesburg, o l’attuale di Copenaghen, si parla solo di “impatto ambientale”, di “emissioni inquinanti” che distruggono il pianeta, senza scavare nelle radici e la causalità del sistema capitalista che li produce. Questa omissione (complice e cosciente) permette di parlare della “vittima” (il pianeta e la maggior parte dell’umanità) senza identificare il “criminale” (i gruppi e le aziende capitaliste che concentrano attività e fortune personali depredando e distruggendo irrazionalmente il pianeta).
Nell’attuale disegno dell’economia mondiale transnazionale” non sono (come prassi) nè i governi nè i paesi che decidono quanto si produce e per chi si produce su scala mondiale, ma le corporazioni e le banche transnazionali che hanno il controllo sulle tre strutture economiche basiche del sistema capitalista: La struttura della produzione, la struttura della commercializzazione e la struttura finanziaria.

Nel sistema capitalista (livellato come “civiltà unica”) la produzione e la commercializzazione di beni e di servizi (essenziali per la sopravvivenza umana), si trovano nelle mani di corporazioni private che controllano dalle risorse naturali (tutela ambientale) fino ai sistemi economici produttivi (ambiente sociale) al di sopra della volontà dei governi e dei paesi.

Questo implica, in primo luogo, che non sono gli Stati ma le aziende capitaliste (i padroni privati degli Stati) che decidono quando, come e dove( e senza nessuna considerazione strategica di impatto ambientale globale) installare una fabbrica o un conglomerato industriale inquinante orientato (prima di tutto) a produrre ricchezza privata al costo della distruzione del pianeta.

Nei “summit” come quello di Rio, Johannesburg- per citarne alcune dei 14 che già sono stati realizzati- o l’attuale di Copenaghen (COP15), si parla solo di “impatto ambientale”, di “emissioni inquinanti” che distruggono il pianeta, senza approfondire sulle radici e le causalità del sistema che le produce.

Questa omissione (complice e cosciente) permette di parlare della “vittima”(il pianeta e la maggior parte dell’umanità) senza identificare il criminale (gruppi ed aziende capitaliste che concentrano attivi e fortune personali depredando e distruggendo irrazionalmente il pianeta).

I suoi relatori, gli scienziati e funzionari che “allertano” sulla catastrofe ambientale, non lo rapportano alla proprietà privata capitalista, con la ricerca di reddito e di concentrazione di ricchezza in poche mani, con la società del consumo e con le multinazionali e le banche che controllano le risorse naturali ed i sistemi economici produttivi senza pianificazione ed orientati solo al guadagno privato in tutto il pianeta.

Il sistema capitalista, come azione e come risultato è irrazionale, non pianificato e (salvo la ricerca di guadagno e di concentrare della ricchezza in poche mani) privo di logica strategica per preservare e proteggere razionalmente al pianeta dalla sua stessa azione depredatrice e distruttiva.

Quando un’azienda (sia locale o transnazionale) inizia un' opera industriale non comincia da uno studio sull’impatto ambientale che produce, ma da uno studio sul costo-beneficio commerciale e una proiezione assicurata di guadagno per i suoi azionisti.

Questo agire irrazionale(individualista e non pianificato) del sistema dominante è matematico ed ha un’azione-reazione emergente sull’economia, sull’umano e sull'ambiente che lo circonda.

L’irrazionalità (la non considerazione di effetti collaterali nocivi e/o distruttivi che possono emergere) trasforma le aziende capitaliste in predatrici dell' ambiente (fiumi, fauna compresi gli animali) per il semplice fatto che non agiscono seguendo interessi sociali generali (preservare il pianeta e le specie), ma la ricerca di interessi particolari (preservare il reddito e la concentrazione della ricchezza privata).

E la giustificazione sociale (creare “fonti di lavoro”) che usano risulta anche irrazionale, dato che per “dare lavoro” non solo creano povertà in massa per lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, ma distruggono anche l’ambiente e le risorse naturali del pianeta per provvedere alla loro ricchezza e benessere economico per i pochi che integrano l’esclusiva piramide degli utili aziendali in alta scala.

Per quanto riguarda la portata distruttiva, per effetto dell’irrazionalità, basti citare l’esempio dell’azienda di carta Botnia, in Uruguay: la transnazionale, dando come motivazione il “creare fonti di lavoro” a 300 persone, ha inquinando in 24 ore il Rio Uruguay, che divide l' Uruguay dall’Argentina e il cui corso d’acqua ha un impatto su tutto il sistema acquifero ed ambientale della regione. Riassumendo, i capitalisti di Botnia avvelenano tutta una regione per aumentare le fortune e le entrate degli azionisti privati delle aziende.

Questo spiega chiaramente perché a Copenaghen si parla degli effetti (la vittima) ma non delle cause (il criminale).

Di conseguenza, e a partire da questa distorsione iniziale, quelli che promettono “lotte e obiettivi” per salvare il mondo dalla catastrofe globale, sono gli stessi Stati ed aziende capitaliste che stanno causando (con il loro agire depredatore irrazionale) quello che già si proietta come un’Apocalisse naturale a tasso fisso.

Le tre Apocalissi.



Può il sistema capitalista (criminale) salvare la sua stessa vittima (il pianeta inclusi noi) da una catastrofe annunciata?

Potrebbe, ma prima dovrebbe rinunciare alla sua stessa natura: La produzione orientata solo all’accumulo di ricchezza in poche mani. Cioè, passare dall’economia irrazionale (con scopi privati) all’economia pianificata (con scopi sociali) che permetta una prevenzione ed un controllo planetario dell' ambiente.

Non sognare: Se il sistema capitalista ferma la sua dinamica di reddito assicurato (più del 70% della produzione è orientata solo al consumo superfluo di chi può pagare), il pianeta scoppierebbe socialmente per la disoccupazione in massa e per il caos alimentare che causerebbe.

E se questo sistema non ferma la sua dinamica, il pianeta (in base alle proiezioni scientifiche) esploderà naturalmente per l'azione del cambiamento climatico.

Il sistema capitalista è fondato sulla matematica (somma e sottrazione) ed un assioma originale per costruire il plusvalore: Comprare a basso prezzo e vendere caro. Anche se per questo deve condannare alla fame e alla povertà una massa maggioritaria (e crescente) di esseri umani e distruggere il pianeta che li contiene.

E le Tre Apocalissi che stabiliscono i paesi emergenti e in declino (ma controllato) del sistema dominante arrivano anche per accumulazione matematica.

L’Apocalisse sociale arriva per l’accumulo matematico di affamati, disoccupati e poveri su scala mondiale.
L’Apocalisse naturale arriva per l’accumulo matematico della distruzione dell' ambiente su scala planetaria.
L’Apocalisse nucleare arriva per accumulazione matematica dei conflitti militari (intercapitalisti) per la sopravvivenza delle potenze all'interno del sistema.

In questo scenario, l’Apocalisse non deve interpretarsi come una profezia o una teoria cospiratrice, ma come uno svolgimento logico di un processo di contraddizioni, di accumulazione e di un salto qualitativo determinato dalle stesse leggi che reggono l’azione storica del sistema capitalista.

Gli scienziati e funzionari che sono presenti al summit di Copenaghen, sono lì solo per l’accumulazione matematica dei discorsi (vuoti di concreto) che la stampa del sistema diffonde come se fossero parte di un campionato mondiale sportivo.

E il pianeta (con noi dentro ed in mano alla demenza del sistema capitalista) accumula solo Apocalissi matematiche implicite nella loro natura depredatrice e criminale.

Si tratta di riconvertire i piani biblici della Profezia: Dove dice “Dio” bisogna dire “Sistema” e dove dice “Diavolo” bisogna dire “Capitalismo”. Da ogni strada si arriva all’Apocalisse.

Lo prenda, se vuole, come uno scetticismo razionale, ma il risultato (come il sistema capitalista) è matematico: Resta solo da scegliere il viaggio che più le conviene.

domenica 6 dicembre 2009

L'invasione viola del No Berlusconi Day

da http://antefatto.ilcannocchiale.it
5 dicembre 2009
di Federico Mello




Di questa giornata passata a sciamare per le strade di Roma e poi a piazza San Giovanni per il No Berlusconi Day provate a portarvi a casa una galleria di immagini, di volti e di colori. Prima di tutto prendete il discorso di Salvatore Borsellino e infilatelo in un cassetto della memoria, vicino ai gemelli d'oro e alle gioie che si conservano, negli angoli dove non si possono perdere. Poi incastonate in qualche bella cornice d'oro zecchino il fotogramma in cui Salvatore, ha preso la parola nel pomeriggio, con la voce spezzata dell'emozione, con il filo dei pensieri che si annodava, ma non si scioglieva mai: “Portino loro le corone di fiori sulla tomba di Mangano! I nostri eroi sono altri, sono gli agenti Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina che morirono facendo la scorta a Paolo. I nostri eroi – grida Salvatore con la voce che sale di tono - sono i 100 agenti che, dopo l'assassinio di Falcone, bussarono alla porta di mio fratello per offrirsi per la sua scorta, per morire con lui". Applausi, sorrisi e lacrime. Ovazione. Di questo No B. Day, mettete in un ripostiglio della memoria le facce di centinaia di migliaia di ragazzi. Quel coro di voci: “Fuori la mafia dallo Stato”, “Berlusconi dimettiti”, “Adesso basta”. Ma anche i 150 ragazzi, tutti volontari, che si sono conosciuti solo ieri sera e che tenendosi per mano hanno accompagnato il corteo, ancora increduli di quello che stava succedendo. I loro sorrisi, ieri, non erano prestampati, come quelli dei burocrati di partito che contano le greggi elettorali.

A casa, tutti si porteranno il viola. Che era dappertutto: sciarpe, cappelli, fazzoletti, drappi, bandiere, calzini, persino le pettoraline dei cani e gli ombrellini delle carrozzine. Quanto ci piacciono a noi i genitori che corrompono i minorenni con l'antiberlusconismo militante. Tenete a mente questa istantanea: una marea che avanza tra due ali di folla. Chi non sventola qualcosa di viola, ha al collo un fazzoletto tricolore.

Chissà come, da questo vortice viola sono riemerse, fresche come se pronunciate ieri, le parole di Sandro Pertini. Chissà chi è stato a stamparle dappertutto, da quale sito sono rimbalzate fino a noi: “La politica va fatta con le mani pulite”.

E c'è da portarsi le tante Polaroid dei leader politici, per un giorno in mezzo alla gente, sotto il palco e non sopra, sopraffatti dalla folla, a rilasciare interviste mentre gli applausi dal palco se li prendevano le ragazze che hanno scelto di andare a lavorare a Corleone nei terreni confiscati alla mafia; mi resta in mente una signora che viene da L'Aquila per raccontare la terribile realtà del dopo-terremoto nascosta dagli annunci del governo.

A casa, chi era in piazza, chi si farà raccontare il No Berlusconi Day da amici e conoscenti, si porterà una convinzione. Che si può fare. Senza troppe fanfare, e senza divismi, in questo paese, può ancora accadere che la società civile si organizzi da sola, pacificamente, riesca a reinventare la politica dal basso coinvolgendo i cittadini per ribadire l'importanza di concetti come moralità e onestà. Il tutto partendo da Internet, da Facebook. Uno strumento, solo uno strumento, che diventa formidabile nelle mani di chi vuole spendersi per cambiare le cose. Perchè l'ultima cosa da mettere nella cassetta degli attrezzi è questa: ieri abbiamo capito tutti che Silvio è rimasto all'età catodica.

mercoledì 18 novembre 2009

Il grande inganno: da Maastricht a Lisbona

da http://paolofranceschetti.blogspot.com
di Solange Manfredi



PREMESSA

Nel corso di questi anni ho scritto diversi articoli sottolineando alcune sentenze o leggi che, a mio parere, presentavano diverse anomalie:

- Violazioni costituzionali nell'esercizio della politica monetaria
- Attentato agli organi costituzionali
- La costituzione inesistente, abbiamo perso tutto
- Il lodo Alfano? Un falso bersaglio, l'Italia ha perso la tutela dei diritti umani

Non riuscivo a spiegarmi, allora, perché questi fatti non venissero segnalati, commentati e, soprattutto, perché i media tacessero la “pericolosità” di quanto stava accadendo.
Oggi, probabilmente, ho capito il perché di quell'assordante silenzio.
Quella che vi sto per raccontare è la storia di un grande inganno, un inganno che parte da lontano, sin dalla fine della seconda guerra mondiale. E' la storia di un progetto (eversivo???) che vuole l'Europa governata da una oligarchia. Poiché il progetto subisce, nel 1992, un'importante accelerazione, è da tale anno che inizieremo a raccontare questa storia.

MAASTRICHT

Il 29 gennaio 1992 viene emanata la legge n. 35/1992 (Legge Carli – Amato) per la privatizzazione di istituti di credito ed enti pubblici. Passano pochi giorni ed ecco un'altra data cruciale, il 07 febbraio 1992. In questa data avvengono due fatti estremamente importanti per la realizzazione del progetto:

- viene varata la legge 82 con cui il ministro del Tesoro Guido Carli (già governatore della Banca d’Italia), attribuisce alla Banca d’Italia la facoltà di variare il tasso ufficiale di sconto senza doverlo più concordare con il Tesoro. Ovvero dal 1992la Banca D'Italia decide autonomamente per lo Stato italiano il costo del denaro;

- Giulio Andreotti come Presidente del Consiglio assieme al Ministro degli Esteri Gianni de Michelis e il Ministro del Tesoro Guido Carli firmano il Trattato di Maastrich, con il quale vengono istituiti il Sistema europeo di banche centrali (SEBC) e la Banca centrale europea (BCE). Il SEBC è un’organizzazione, formata dalla BCE e dalle banche centrali nazionali dei paesi dell’Unione europea, che ha il compito di emettere la moneta unica (euro) e di gestire la politica monetaria comune con l’obiettivo fondamentale di mantenere la stabilità dei prezzi.

I cittadini italiani non si rendono conto della gravità delle conseguenze che questi atti hanno, ed avranno, sulle loro vite. Ne subiscono le conseguenze, e quando si domandano “perchè”, ogni volta viene loro proposto un capro espiatorio diverso. L'importante è che i cittadini non riescano a capire quanto sta avvenendo.
I potenti, nel frattempo, continuano a lavorare al loro progetto e, il 13 ottobre 1995, il governo italiano, con il D.M. n. 561, pone il segreto su:

- art. 2) atti, studi, analisi, proposte e relazioni che riguardano la posizione italiana nell'ambito di accordi internazionali sulla politica monetaria….;
- d) atti preparatori del Consiglio della Comunità europea;
- e) atti preparatori dei negoziati della Comunità europea
- Art. 3. a) atti relativi a studi, indagini, analisi, relazioni, proposte, programmi, elaborazioni e comunicazioni …..sulla struttura e sull'andamento dei mercati finanziari e valutari….; ecc…).

Insomma, quanto il Governo sta facendo per realizzare il progetto europeo non si deve sapere, men che meno in ambito di politica monetaria.
Il 01 gennaio 2002 l'Italia ed altri paesi europei (non tutti) adottano come moneta l'euro. E' il crollo. I prezzi raddoppiano, gli stipendi no. La crisi economica si acuisce. Anche in questo caso viene offerto ai cittadini qualche capro espiatorio per giustificare una crisi che, invece, secondo alcuni analisti, è stata pianificata da tempo.
Il 04 gennaio 2004 Famiglia Cristiana rende note le quote di partecipazione alla Banca D'Italia. Si scopre così, per la prima volta (le quote di partecipazione di Banca d'Italia erano “riservate”) che l'istituto di emissione e di vigilanza, in palese violazione dell'art. 3 del suo statuto (In ogni caso dovrà essere assicurata la permanenza della partecipazione maggioritaria al capitale della Banca da parte di enti pubblici o di società la cui maggioranza delle azioni con diritto di voto sia posseduta da enti pubblici) è, per il 95% in mano a banche private e società di assicurazione (Intesa, San Paolo, Unicredito, Generali, ecc..). Solo il 5% è dell'INPS.
Da quando la Banca d'Italia è in mano ai privati? Come è potuto succedere tutto ciò? La risposta è semplice: con la privatizzazione degli istituti di credito voluta con la legge n. 35/1992 Amato- Carli, cui, l'ex governatore della Banca d'Italia, ha fatto subito seguire la legge 82/1992, che dava facoltà alla Banca D'Italia di decidere autonomamente il costo del denaro.
In altri termini con queste due leggi la Banca d'Italia è divenuta proprietà di banche private che decidono da sole il costo del denaro sancendo così, definitivamente, il dominio della finanza privata sullo Stato. A questo stato di cose seguono i noti scandali bancari (Bond argentini, Cirio, Parmalat, scalata Unipol con il rinvio a giudizio del governatore di Banca d'Italia Fazio, ecc..) con grande danno per migliaia di risparmiatori.
Possibile che il Ministro Carli, ex governatore della Banca d'Italia, non si sia accorto di tutto ciò? Ed ancora: è possibile che i politici, ministri del Tesoro, governatori non si siano accorti, per ben 12 anni, di questa anomalia? Comunque se ne accorgono alcuni cittadini, che citano immediatamente in giudizio la Banca d'Italia.
Il 26 settembre 2005 un giudice di Lecce, con la sentenza 2978/05, condanna la Banca d'Italia a restituire ad un cittadino (l’attore) la somma di euro 87,00 a titolo di risarcimento del danno derivante dalla sottrazione del reddito monetario.
Nella sentenza viene sottolineato, inoltre, come la Banca d’Italia, solo nel periodo 1996-2003, si sia appropriata indebitamente di una somma pari a 5 miliardi di euro a danno dei cittadini. Ma ancora non basta, perché la perizia del CTU nominato dal giudice mette in evidenza:

Per quanto concerne la Banca D'Italia:
- come questa sia, in realtà, un ente privato, strutturato come società per azioni, a cui è affidata, in regime di monopolio, la funzione statale di emissione di carta moneta, senza controlli da parte dello Stato;
- come, pur avendo il compito di vigilare sulle altre banche, Banca D'Italia sia in realtà di proprietà e controllata dagli stessi istituti che dovrebbe controllare;
- come, dal 1992, un gruppo di banche private decida autonomamente per lo Stato italiano il costo del denaro.

Per quanto concerne la BCE:
- come questa sia un soggetto privato con sede a Francoforte;
- come, ex art. 107 del Trattato di Mastricht, sia esplicitamente sottratta ad ogni controllo e governo democratico da parte degli organi dell’Unione Europea;
- come la succitata previsione faccia si che la BCE sia una sorta di soggetto sovranazionale ed extraterritoriale;
- come, tra i sottoscrittori della BCE, vi siano tre stati (Svezia, Danimarca ed Inghilterra) che non hanno adottato come moneta l’euro, ma che, in virtù delle loro quote, possono influire sulla politica monetaria dei paesi dell’euro.

In altri termini la sentenza mette in evidenza come lo Stato, delegato dal popolo ad esercitare la funzione sovrana di politica monetaria, dal 1992 l’abbia ceduta a soggetto diverso dallo Stato: prima alla Banca D’Italia (di proprietà al 95% di privati), quindi alla BCE (soggetto privato, soprannazionale ed extraterritoriale).
Così facendo lo Stato ha violato due articoli fondamentali della Costituzione:
L'art. 1 che recita: “...La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.
Infatti il popolo aveva delegato i suoi rappresentanti ad esercitare la funzione sovrana di politica monetaria, non a cederla a soggetti privati.
L'art. 11 della Costituzione che recita: “L'Italia … consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.
L’art. 11 della costituzione consente limitazioni (non già cessioni) della sovranità nazionale solo in favore di altri Stati. Ma la BCE non è uno Stato, né organo di altri Stati.
Inoltre, la sovranità monetaria non è stata ceduta a condizioni di parità (le quote di partecipazione alla BCE non sono paritarie), vi fa parte anche la Banca d’Inghilterra che non fa parte dell’euro e partecipa alle decisioni di politica monetaria del nostro Stato, senza che lo Stato italiano possa in alcun modo interferire nella politica monetaria interna.
Ed ancora. Tale limitazione (non cessione) può essere fatta ai soli fini di assicurare “la pace e la giustizia tra le Nazioni”. I fini della BCE non sono quelli di assicurare pace e giustizia fra le nazioni, ma quello di stabilire una politica monetaria (per una disamina più approfondita della problematica rimando al mio articolo “Violazioni costituzionali nell'esercizio della politica monetaria).

La sentenza è, quindi, estremamente importante e, per taluni, anche estremamente pericolosa, visto che ai politici, che illegittimamente hanno concesso la sovranità monetaria prima alla Banca d'Italia e poi alla BCE potrebbero essere contestati i reati di cui agli artt.

- 241 c.p: “Chiunque commette un fatto diretto a sottoporre il territorio dello Stato o una parte di esso alla sovranità di uno Stato straniero, ovvero a menomare l'indipendenza dello Stato, è punito con l'ergastolo”.
- 283 c.p.: "Chiunque commette un fatto diretto a mutare la costituzione dello Stato, o la forma del Governo con mezzi non consentiti dall'ordinamento costituzionale dello Stato, è punito con la reclusione non inferiore a dodici anni".

I politici, infatti, hanno ceduto un potere indipendente e sovrano ad un organismo privato e, per quanto riguarda la BCE, anche esterno allo stato.
Il pericolo c'è, ma la paura di un possibile rinvio a giudizio per questi gravi reati dura poco, qualche mese.
Per una strana coincidenza, a soli 5 mesi dalla sentenza che condanna la Banca d'Italia, nell'ultima riunione utile prima dello scioglimento delle camere in vista delle elezioni, con la legge 24 febbraio 2006 n. 85 dal titolo "Modifiche al codice penale in materia di reati di opinione" vengono modificati proprio gli artt.241 (attentati contro l'indipendenza, l'integrità e l'unità dello Stato); 283 (attentato contro la Costituzione dello Stato); 289 (attentato contro organi costituzionali e contro le assemblee regionali), ovvero le figure di attentato alle istituzioni democratiche del paese, che, diciamolo, con i reati di opinione hanno ben poco a che vedere.
Cosa cambia con questa modifica?
Nella sostanza le figure di attentato diventano punibili solo se si compiono atti violenti, se si attenta alla costituzione semplicemente abusando di un potere pubblico non si commette più reato.
I politici, dunque, non solo sono salvi per quanto concerne il passato, ma, da ora in poi, potranno abusare del loro potere pubblico violando la costituzione senza più rischiare assolutamente nulla.
Certo, questa modifica priva la nostra Repubblica di qualsiasi difesa, ma di questo pare nessuno se ne accorga. (per una disamina più approfondita dell'argomento rimando al mio articolo “Attentato agli organi costituzionali”).

Pochi mesi dopo questa modifica arriva la sentenza 16751/2006 della Cassazione a sezioni Unite, che accoglie il ricorso di Banca D'Italia avverso la succitata sentenza del giudice di Lecce. Nelle motivazioni si legge:”... al giudice non compete sindacare il modo in cui lo Stato esplica le proprie funzioni sovrane, tra le quali sono indiscutibilmente comprese quelle di politica monetaria, di adesione a trattati internazionali e di partecipazione ad organismi sovranazionali: funzioni in rapporto alle quali non è dato configurare una situazione di interesse protetto a che gli atti in cui esse si manifestano assumano o non assumano un determinato contenuto”.

In altri termini il giudice non può sindacare come lo stato esercita le sue funzioni sovrane, neanche quando queste arrechino un danno al cittadino.
Ma, come abbiamo appena visto, il cittadino è rimasto anche privo di difese anche nel caso in cui, abusando di poteri pubblici, la sua sovranità venga svenduta a soggetti privati.
E allora che fare?
Al cittadino resta un'ultima flebile speranza? Può aggrapparsi alla violazione dell'art. 3 dello statuto della Banca d'Italia? Assolutamente no, a dicembre del 2006 anche l'art. 3 dello Statuto, ovviamente, è stato modificato. Ora non è più necessaria nessuna partecipazione pubblica in Banca d'Italia. Tutto in mano ai privati per statuto.

La sovranità monetaria è persa. Ma l'inganno è solo all'inizio, anche se è stato portato a termine un tassello importante del progetto, in fondo si sa, è il denaro che governa il mondo.

LISBONA

I potenti, sicuri della loro totale impunità, proseguono nel grande inganno e, visto che nel 2005 la Costituzione europea (che presentava palesi violazioni con le maggiori costituzioni europee e pareva scritta per favorire le grandi Lobby affaristiche in danno dei cittadini) era stata bocciata da francesi ed olandesi al referendum, decidono che, per far passare il testo, si deve agire in due modi:

- evitare di far votare la popolazione;
- rendere il testo illeggibile.

Il loro progetto prevede di lasciare la Costituzione Europea immutata e, per evitare il referendum, di chiamarla "Trattato".

Poi, per evitare che il cittadino si renda conto che nulla è cambiato, rendono il testo illeggibile inserendo migliaia di rinvii ad altre leggi e note a piè pagina, come hanno confessato:

- l'ex presidente francese Valéry Giscard D’Estaing: “Il Trattato è uguale alla Costituzione bocciata. Solo il formato è differente, per evitare i referendum”;
- il parlamentare europeo danese Jens-Peter Bonde “I primi ministri erano pienamente consapevoli che il Trattato non sarebbe mai stato approvato se fosse stato letto, capito e sottoposto a referendum. La loro intenzione era di farlo approvare senza sporcarsi le mani con i loro elettori;
- il nostro Giuliano Amato: “Fu deciso che il documento fosse illeggibile...Fosse invece stato comprensibile, vi sarebbero state ragioni per sottoporlo a referendum”.

Nel 2007 tutto è pronto, e il 13 dicembre i capi di governo si riuniscono a Lisbona per firmare il Trattato, ovvero la Costituzione europea bocciata nel 2005 e resa illeggibile. Ora, manca solo la ratifica dei vari stati.
Il parlamento italiano ratifica il trattato di Lisbona l'08 agosto del 2008, approfittando della distrazione dei cittadini dovuta al periodo feriale. Nessuno spiega ai cittadini cosa comporti la ratifica del Trattato, ed i media, ancora una volta, tacciono.
In realtà con quella ratifica abbiamo ceduto la nostra sovranità in materia legislativa, economica, monetaria, salute e difesa ad organi (Commissione e Consiglio dei Ministri) che non verranno eletti dai cittadini. Il solo organo eletto dai cittadini, Parlamento Europeo, non avrà, nei fatti, alcun potere (per una disamina più approfondita del Trattato rimando all'ottimo articolo di Paolo Barnard sul trattato di Lisbona).

Ancora una volta i nostri politici, abusando del loro potere pubblico, hanno violato l'art. 1 e 11 della nostra costituzione.

L'art. 1 perchè, come detto, lo stato ha la delega ad esercitare la funzione sovrana in nome e per conto dei cittadini, non a cederla. E' come se una persona avesse il compito di amministrare un immobile e lo vendesse all'insaputa del proprietario, abusando del potere che gli è stato conferito.
Inoltre ha violato l'art. 11 perché, come abbiano visto: “L'Italia …. consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità.

Lo stato, invece, ancora una volta ha ceduto la sovranità e l'ha ceduta non in condizioni di parità. Infatti l'Inghilterra, che già non ha aderito all'euro, in sede di negoziato ha ottenuto diverse e importanti esenzioni per aderire al Trattato di Lisbona, eppure pare che il primo presidente europeo sarà proprio l'ex primo ministro inglese Tony Blair.
La nomina a presidente europeo di Blair deve far riflettere, sopratutto in ordine alla c.d. Clausola di Solidarietà presente nel Trattato di Lisbona. Detta Clausola prevede che ogni nazione europea sia tenuta a partecipare ad azioni militari quando si tratti di lottare contro «azioni terroristiche» in qualunque altra nazione.
In problema è che nessuno ha definito cosa si intenda per "azioni terroristiche".
Chi deciderà chi è un terrorista e perchè? Persone come Tony Blair, in passato coinvolto nello scandalo sulle inesistenti armi di distruzione di massa in mano a Saddam con cui è stata giustificata la guerra all'Irak?
A quante guerre ci sarà chiesto di partecipare solo perché qualche politico non democraticamente eletto avrà deciso di usare la parola “terrorista” o “azione terroristica”?
Si consideri che già, oggi, basta definire un cittadino “presunto terrorista” per poterlo privare dei diritti umani e permettere che i servizi segreti possano sequestrarlo a fini di tortura, attività criminale che potrà, poi, essere coperta con il segreto di stato, come ha recentemente confermato con la sentenza 106/2009 anche la nostra Corte Costituzionale (per una disamina più approfondita della problematica rimando al mio articolo Il lodo Alfano? Un falso bersaglio, l'Italia ha perso la tutela dei diritti umani).

Ma il dato più allarmante è che, con il Trattato di Lisbona, viene reintrodotta la pena di morte.
Ovviamente tale dicitura non è presente nel testo del Trattato, ma in una noticina a piè pagina (si continua nell'inganno).
Leggendo attentamente questa noticina, e seguendo tutti i rimandi, si arriva alla conclusione che con il Trattato di Lisbona accettiamo anche la Carta dell'Unione Europea, la quale dice "La morte non si considera cagionata in violazione del presente articolo se è il risultato di un ricorso alla forza resosi assolutamente necessario: Per eseguire un arresto regolare o per impedire l'evasione di una persona regolarmente detenuta ; per reprimere, in modo conforme alla legge, una sommossa o un'insurrezione” (articolo 2, paragrafo 2 della CEDU).
La cosa è di estrema gravità. Infatti, anche in questo caso, chi deciderà che una protesta è sfociata in disordini tali da rendere lecito un omicidio? (l'Italia, poi, ha un triste primato in fatto di “agenti provocatori” pagati per trasformare una manifestazione in guerriglia).
In quali casi si potrà sparare sulla folla disarmata? Chi deciderà quando potranno essere sospesi i diritti umani? Perché di questo si tratta.

Ecco la storia di un grande inganno, un inganno che inizia con il cedere illecitamente, proteggendosi con il segreto, la funzione sovrana dell'esercizio della politica monetaria a privati. Nello sfuggire alle responsabilità del proprio operato depenalizzando le figure di attentato alla costituzione. Nell'approfittare delle ferie estive per ratificare un trattato con cui vengono cedute le nostre restanti sovranità (legislativa, economica, monetaria, salute, difesa, ecc..) ad una oligarchia non eletta e che nessuno conosce. Ed, in ultimo, nel dare il potere a qualche politico di poter privare i cittadini dei loro diritti umani semplicemente con una parola.
Così, quando i cittadini si renderanno conto che hanno perso tutto, che la loro vita viene decisa da una oligarchia di potenti non eletti democraticamente, quando si renderanno conto del grande inganno in cui sono caduti non sarà loro concesso neanche reagire o protestare, perchè basterà una sola parola per trasformare la reazione in “azione terroristica” o la protesta in “insurrezione”, legittimando così la sospensione dei diritti umani e l'applicazione della pena di morte. Il tutto, poi, verrà coperto con il segreto di stato.

Paolo Barnard: il Trattato di Lisbona

sabato 14 novembre 2009

Presidente ritiri quella norma del privilegio

da www.repubblica.it
14 novembre 2009
di Roberto Saviano


SIGNOR Presidente del Consiglio, io non rappresento altro che me stesso, la mia parola, il mio mestiere di scrittore. Sono un cittadino. Le chiedo: ritiri la legge sul "processo breve" e lo faccia in nome della salvaguardia del diritto. Il rischio è che il diritto in Italia possa distruggersi, diventando uno strumento solo per i potenti, a partire da lei.

Con il "processo breve" saranno prescritti di fatto reati gravissimi e in particolare quelli dei colletti bianchi. Il sogno di una giustizia veloce è condiviso da tutti. Ma l'unico modo per accorciare i tempi è mettere i giudici, i consulenti, i tribunali nelle condizioni di velocizzare tutto. Non fermare i processi e cancellare così anche la speranza di chi da anni attende giustizia.

Ritiri la legge sul processo breve. Non è una questione di destra o sinistra. Non è una questione politica. Non è una questione ideologica. E' una questione di diritto. Non permetta che questa legge definisca una volta per sempre privilegio il diritto in Italia, non permetta che i processi diventino una macchina vuota dove si afferma il potere mentre chi non ha altro che il diritto per difendersi non avrà più speranze di giustizia.

ROBERTO SAVIANO

venerdì 13 novembre 2009

Oltre ogni limite

da Il Fatto Quotidiano n°45 del 13 novembre 2009


Noi speriamo che qualcuno lassù – Montecitorio, il Quirinale – sia stato avvertito della protesta che sale nel paese. Una tempesta di messaggi che intasano Internet e i pochi giornali di opposizione. Tutti dicono la stessa cosa: basta, è stato superato il limite. Basta con l’ennesimo provvedimento ad personam, il diciannovesimo in quindici anni. Basta con i trucchi e con il ricorso a tutti i possibili imbrogli legislativi per consentire l’impunità di un premier che se ne frega di tutto e di tutti. Basta con le leggi che per salvare uno soltanto cancellano centinaia di migliaia di processi. Assicurano la prescrizione a fior di corrotti e corruttori. E, forse, lasceranno senza giustizia le vittime di grandi tragedie del lavoro e i loro familiari. Basta con l’ingiustizia che risparmia i reati dei potenti e si accanisce sempre contro i poveri cristi. Basta con il Parlamento svilito, svuotato, usato solo per soddisfare le necessità del padrone. Basta con le istituzioni costrette a dare retta ai continui espedienti degli avvocati e legulei dell’impunito. Basta con i domestici e i ruffiani adeguatamente ricompensati con incarichi parlamentari e ministeriali ; e con gli inquisiti per camorra candidati alla guida della regione più inquinata dalle cosche e dai veleni. Basta con il disprezzo per la Costituzione e con gli incessanti tentativi di abbatterla a spallate. Possibile che una intera nazione debba essere tenuta in ostaggio da gente simile? Quali altre mascalzonate dovremo sopportare ancora? Quante umiliazioni dovrà subire la nostra povera democrazia prima che il basta di tanti e tanti arrivi lassù in alto?

Giustizia ad orologeria...

lunedì 2 novembre 2009

Il Vaccino dalle Uova d'Oro

da www.lavocedellevoci.it
29 ottobre 2009
di Rita Pennarola


Sorpresa: nei grandi ospedali per malattie infettive buona parte di medici in servizio non intende vaccinarsi contro il virus della Suina. Succede al Cotugno di Napoli. E non solo. Vediamo perche'.

Se, come dimostrano i numeri, i colossi del farmaco, dall'alto del loro mezzo biliardo di dollari e passa all'anno di fatturato, superano di gran lunga l'invincibile industria delle armi, non risulta poi cosi' difficile capire perche' periodicamente, con cadenza ormai “regolare”, scoppia l'allarme mediatico sulle pandemie che, come altrettanti Armageddon, stanno arrivando a flagellare il pianeta, mietendo milioni di vittime e rendendo percio' piu' che mai invocato l'arrivo di specifici vaccini. Virus creati in laboratorio proprio per far nascere la necessita' di contrastarli, mantenendo su livelli altissimi le corazzate quotate in Borsa? E, in ogni caso, quali conseguenze potranno avere sulla salute umana prodotti a base di virus, realizzati molto spesso sull'onda dell'emergenza, ma destinati alla profilassi di massa su scala mondiale (quest'anno da novembre in poi)?
Quasi “naturale”, allora, che dopo gli allarmi globalizzati sul virus dell'antrace (2001) e sull'influenza aviaria (che nel 2005 vide l'allora ministro della Salute Francesco Storace lanciato all'acquisto di dosi da milioni di euro, poi di fatto mai utilizzate perche' nel frattempo il virus era “mutato”), oggi dovesse arrivare una ennesima “maledizione biblica”. Terrorizzante, per la maggior parte dell'umanita', ma, per qualcun altro, provvidenziale.
Sulla influenza A o “suina” - quel virus H1N1 che sta tenendo col fiato sospeso buona parte dell'umanita', fra propaganda dei governi, complicita' dei grandi media nelle mani degli stessi colossi farmaceutici, ma anche fra leggende metropolitane e falsi scoop - cominciano oggi a farsi strada le prime, rigorose ricostruzioni che, dati scientifici alla mano, lasciano filtrare le terribili verita' alla base dell'allarme planetario.
Percio', nelle stesse ore in cui la Agenzia europea per il controllo sui farmaci da' via libera ai primi due vaccini anti-pandemia, che saranno prodotti da Novartis e GlaxoSmithKline, arrivano impietosi dossier come quello di Luciano Gianazza, autore di numerosi libri che smascherano il dietro le quinte affaristico della medicina contemporanea. Il quale oggi parla di questi vaccini come delle nuove armi biologiche di distruzione di massa.

ACCHIAPPA LA SUINA
Dopo le prime avvisaglie della scorsa primavera, il clamore mediatico sulla suina esplode a giugno, quando la Organizzazione mondiale della sanita' annuncia che la pandemia sara' di livello 6, vale a dire molto elevato, scatenando la corsa dei governi all'acquisto del vaccino. L'attivita', nei laboratori, diventa da allora frenetica. Quali rischi comportano la fretta e la conseguente, possibile approssimazione? «Alle multinazionali del cartello Big Pharma (GlaxoSmithKline, Baxter, Novartis e altre) - punta l'indice Gianazza - e' stato assicurato che non vi sara' contro di loro alcun ricorso per eventuali morti o gravi danni che questi vaccini possono causare».
Ancor piu' esplicito il movente economico: «la Novartis - fa sapere Gianazza - ha raccolto ordinativi gia' da trenta diversi Paesi. Solo dagli Usa ricevera' 346 milioni di dollari per l'antigene e 348,8 milioni per un adiuvante. La Baxter ha ordini da cinque Paesi per 80 milioni di dosi, ma non ha ricevuto l'approvazione della Food and Drug Administration, quindi vendera' al di fuori degli Stati Uniti. GlaxoSmithKline ha ricevuto 250 milioni per la fornitura agli Usa di numerosi “prodotti pandemici”. Il totale degli ordini nei soli Stati Uniti ammonta a 7 miliardi di dollari».
Numerose le sostanze tossiche, a partire dai cosiddetti adiuvanti, senza i quali i vaccini non potrebbero essere conservati ne' mantenuti in forma stabile. Fra questi Gianazza enumera ad esempio «il thimerosal, conservante 50 volte piu' tossico del mercurio, che puo' provocare a lungo termine disfunzioni del sistema immunitario, sensoriali, motorie, neurologiche, comportamentali».
GlaxoSmithKline, che ha sede a Londra, come adiuvante per i suoi vaccini usa anche un composto contenente alluminio, il cui uso, in certe dosi, e' causa accertata di disfunzione cognitiva.
C'e' poi la formaldeide: una nota sostanza cancerogena e tossica per l'apparato riproduttivo. «Nel 2007 - continua Gianazza - la California ha utilizzato piu' di 30.000 tonnellate di questa sostanza cancerogena come microbicida sulle piu' importanti coltivazioni sparse nel suo territorio».
Altro ingrediente comune ai nuovi vaccini e' lo squalene, noto come sostanza che puo' provocare l'artrite reumatoide. E i ricercatori oggi associano l'uso dello squalene alla cosiddetta “Sindrome della Guerra del Golfo” che ha colpito migliaia di soldati americani con danni irreparabili al sistema immunitario, compresi sclerosi multipla, fibromialgia e, appunto, l'artrite reumatoide.
Passiamo al secondo produttore, la Baxter International con casa madre a Chicago e una sede anche in Italia. Non si conoscono ancora fino in fondo le sostanze presenti nel nuovo vaccino, ma puo' essere utile dare un'occhiata a quelle che si trovavano nel prodotto contro il virus H5N1 dell'influenza aviaria.
«Le cellule in coltura - si legge nel dossier di Gianazza - sono prese dalla “scimmia verde africana”. I tessuti prelevati da questa specie di scimmie sono stati in passato responsabili della trasmissione di virus, tra cui l'HIV e la poliomielite. La Baxter ha posto una richiesta di brevetto sul processo che utilizza questo tipo di coltura cellulare per la produzione di quantita' di virus infettivi, che vengono poi inattivati con formaldeide e luce ultravioletta».
Passiamo al terzo colosso, l'elvetica Novartis International AG con sede a Basilea e una propaggine in Italia, a Torre Annunziata, ai margini del fiume Sarno, il corso d'acqua tristemente famoso per essere uno fra i piu' inquinati d'Europa. Ed e' proprio dalla Novartis che l'Italia avrebbe acquistato le sue dosi di vaccino anti-suina. Al pari della Baxter, la corazzata elvetica sta utilizzando una linea cellulare di cui e' proprietaria (analoga a quella della scimmia verde) per far crescere i ceppi del virus, invece delle uova di gallina, come si era sempre fatto finora. Cio' permette all'azienda di ridurre drasticamente il tempo necessario per iniziare la produzione del vaccino, che ha preso la denominazione ufficiale di “Focetria”.
Anche qui non mancano additivi come la formaldeide e il bromuro dicetiltrimetilammonio, un disinfettante utilizzato per sterilizzare utensili.

PARTICELLE KILLER
Altro allarme e' quello lanciato dall'economista e politologo William Engdahl, collaboratore di testate come Asia Times e autore di libri sulla globalizzazione. A meta' settembre il gruppo indipendente internazionale Global Research pubblica un articolo in cui Engdahl rivela la presenza di nanoparticelle nei vaccini per l'influenza H1N1. «Ora e' saltato fuori - si legge - che i vaccini approvati per essere utilizzati in Germania e nei paesi europei contengono delle nanoparticelle in una forma che e' risultata attaccare cellule sane e che puo' essere mortale».
Il sistema era stato messo a punto nel 2007 dai ricercatori dell'Ecole Polytechnique Fe'de'rale de Lausanne i quali, in un articolo pubblicato sulla rivista Nature Biotechnology, avevano spiegato: «queste particelle sono cosi' sottili che, una volta iniettate, nuotano nella matrice extracellulare della pelle e vanno di filato ai linfonodi. Entro pochi minuti raggiungono una concentrazione di cellule D migliaia di volte maggiore che nella pelle. La risposta immunitaria puo' essere quindi estremamente forte».
«C'e' un solo - obietta Engdahl - piccolo problema: i vaccini che contengono nanoparticelle possono essere mortali o, come minimo, causare danni irreparabili per la salute». Le particelle di nanodimensioni - viene spiegato - si fondono con le membrane del nostro corpo e, secondo studi recenti condotti in Cina ed in Giappone, vanno avanti a distruggere le cellule senza sosta. Una volta che hanno interagito con la struttura cellulare, non possono piu' essere rimosse.
«Dopo lo scandalo dell'amianto - incalza Engdahl - e' stato appurato che particelle di dimensione inferiore ad un milionesimo di metro, per la loro enorme forza attrattiva, penetrano in tutte le cellule distruggendo tutte quelle con le quali entrano in contatto. E le nanoparticelle sono ben piu' piccole delle fibre di amianto. Prove effettuate a Beijing dimostrano gli effetti mortali sull'uomo».
L'European Respiratory Journal, autorevole periodico destinato a medici ed operatori sanitari, nel numero di agosto ha pubblicato un articolo intitolato “L'esposizione alle nanoparticelle e' correlata con il versamento pleurico, la fibrosi polmonare ed il granuloma”. Si riporta quanto avvenuto nel 2008 a sette giovani donne ricoverate presso il Beijing Chaoyang Hospital. Di eta' fra i 18 ed i 47 anni, erano state esposte a nanoparticelle per un periodo dai 5 ai 13 mesi sul posto di lavoro. Analoghi i sintomi: dispnea, versamento pleurico, liquido nei polmoni, difficolta' respiratoria. Gli esami hanno confermato che le nanoparticelle avevano innescato nei polmoni infiammazioni e processi di fibrosi, con presenza di granulomi nella pleura. Il microscopio elettronico ha permesso di osservare che le nanoparticelle si erano collocate nel citoplasma e nel nucleo delle cellule epiteliali e mesoteliali dei polmoni.
«Il fatto chel'Organizzazione mondiale per la sanita', l'European Medicines Evaluation Agency ed il German Robert Koch Institute permettano oggi che la popolazione venga iniettata con vaccini ampiamente non sperimentati contenenti nanoparticelle - e' la drastica conclusione di William Engdahl - la dice lunga sul potere della lobby farmaceutica sulle politiche europee».

domenica 1 novembre 2009

L'Angelino custode

da http://espresso.repubblica.it
28 ottobre 2009
di Lirio Abbate



I rapporti con il figlio di Ciancimino, le accuse per i disegni che ostacolano la lotta alla mafia, la sua rete siciliana. Ecco chi è il ministro Alfano, fedelissimo di Berlusconi, che deve sistemare la questione giustizia.


Quando il Cavaliere sentì pronunciare per la prima volta il nome di Angelino Alfano disse: "E chi è?". Era il 1999. Silvio Berlusconi all'epoca non conosceva ancora le doti dell'enfant prodige della politica siciliana. E nove anni fa, presentandosi a Villa San Martino, insieme al suo "padrino" Gianfranco Miccichè per spiegare che in Regione volevano fare il ribaltone, portando Totò Cuffaro nel centrodestra, Berlusconi incontrò i due siciliani tra la sala da pranzo e il giardino. L'anno dopo, però, la scrivania di Alfano era nell'ufficio accanto a quello del leader a Palazzo Grazioli. La stessa stanza in cui aveva lavorato a lungo Gianni Letta. Angelino era diventato deputato, ma anche il capo della segreteria politica di Berlusconi. Un fedelissimo. E per questo è un uomo di governo che non può riservare sorprese al suo premier. L'uomo giusto - per Berlusconi - alla guida del ministero della Giustizia. Il Cavaliere sembra aver un debole per i siciliani. In uno degli incontri ad Arcore gli chiese, sorpreso: "Ma davvero lei è siciliano? La sento parlare in italiano...".

Di Angelino dicono tante cose. Ma la democristianissima abilità nel tessere e tranciare alleanze negli ultimi due anni ha spezzato il cuore a Miccichè e a Stefania Prestigiacomo, per via del fatto che ormai il Guardasigilli è il vero padrone del Pdl in Sicilia.

Strettissimo è invece il legame con Schifani, tanto che in via del Plebiscito li chiamano "Angelino e Renatino". Alla vigilia dell'ultima campagna elettorale per la presidenza della Regione, Raffaele Lombardo viene preferito ad Alfano. Lui storce il naso e commissiona un sondaggio nel quale il 70 per cento dei siciliani ha un sogno solo, andare a cena con Angelino Alfano. E di pranzi e cene il futuro ministro ne ha fatte diversi con Massimo Ciancimino, il figlio dell'ex sindaco mafioso di Palermo. I contatti tra l'enfant prodige e il "dichiarante" chiave nelle indagini sulle trattative tra Stato e mafia sono agli atti delle inchieste in cui Ciancimino è imputato. Contatti mediati dal palermitano Vincenzo Lo Curto, ex amministratore delegato di Biosphera spa - uno dei carrozzoni che gravano sui bilanci della Regione Sicilia - amico del parlamentare Dore Misuraca (Pdl). E attraverso Lo Curto e Misuraca, Alfano ha viaggiato pure sull'elicottero dell'Air Panarea, riconducibile per i pm sempre a Ciancimino. Secondo il figlio dell'ex sindaco, Alfano si sarebbe imbarcato sull'elicottero in due occasioni con la moglie, l'avvocato Tiziana Miceli, per raggiungere Panarea fra giugno e luglio 2004, insieme a Dore Misuraca e alla moglie. Viaggi che sarebbero stati pagati, secondo gli atti acquisiti dalla procura, da una società del figlio dell'ex sindaco mafioso. Dettaglio di cui però Alfano potrebbe non essere stato a conoscenza.

Ma Angelino, 39 anni, avrebbe cominciato a prendere il volo molto prima, decollando dall'agrigentino. Brucia le tappe in politica: eletto a 25 anni all'Assemblea regionale, poi parlamentare a Roma, nel 2005 diventa coordinatore di Forza Italia in Sicilia. Nell'estate di quell'anno, davanti al Consiglio nazionale del partito, Berlusconi presenta il suo trapianto di capelli come una nuova manifestazione della sua energia indomabile, la prova regina delle sue capacità quasi soprannaturali: "Ho vinto il cancro, ho vinto la calvizie. Questo vuol dire che chi crede ci riesce ". Alfano lo ascolta strabuzzando gli occhi. Sempre con ammirazione. Pensa alla sua pelata. Ai capelli folti che aveva al liceo. Pensa a quanto il premier tenga all'immagine dei suoi uomini. Così arriva l'idea di far anche lui un trapianto. E il consiglio su uno specialista al quale rivolgersi lo chiede direttamente a Massimo Ciancimino. Lui aveva sperimentato il trapianto qualche anno prima, e lo aveva confessato al deputato azzurro durante uno dei loro incontri. Così tre anni fa il futuro ministro della Giustizia viene indirizzato nello studio medico di un professore sulla Salaria a Roma. E il trapianto, senza bandana, viene eseguito.

Il 2005 è l'anno dell'exploit. La prima uscita tv da coordinatore regionale di Forza Italia la fa su Raidue. È una puntata su Cosa nostra che va in onda dal quartiere Brancaccio di Palermo. Alfano scandisce con nitidezza: "La mafia mi fa schifo". E aggiunge: "Io appartengo a una generazione di ragazzi che andava alle elementari quando hanno ucciso Mattarella, alle medie quando hanno ammazzato Dalla Chiesa, all'Università quando sono saltati in aria Falcone e Borsellino. Noi abbiamo il marchio a fuoco dell'antimafia". La trasmissione viene seguita in carcere anche da alcuni boss agrigentini. Lo racconta il "pentito" Ignazio Gagliardo: "Abbiamo visto Angelino Alfano parlare in televisione e dire che la mafia fa schifo". Poi aggiunge che il padre del ministro - un insegnante conosciuto ad Agrigento come notabile della locale corrente fanfaniana - "aveva chiesto ai boss voti per Angelino".

Di giustizia in senso stretto si è occupato ben poco Alfano prima di arrivare in via Arenula. Laureatosi in legge alla Cattolica a Milano, non ha mai preso l'abilitazione per fare l'avvocato, e dunque non ha mai affrontato la trincea forense. La politica ha preso subito il sopravvento. Seppure abbia alle spalle un dottorato in diritto dell'impresa e abbia collaborato con la cattedra palermitana di Istituzioni di Diritto Privato, non ha mai indossato la toga. Sua moglie, Tiziana Miceli, 37 anni, è invece un avvocato molto richiesto nel civile. Ed è anche una professionista che riceve consulenze esterne da parte di pubbliche amministrazioni gestite prima da Forza Italia, ora dal Pdl. Le nomine sembrano coincidere con l'ascesa politica di suo marito. Stessa cosa vale per il collega con il quale l'avvocato Miceli divide lo studio a Palermo. È Cirino Gallo, 42 anni, sindaco nel messinese. Ha ricevuto consulenze dal Comune di Agrigento nel settembre 2004, nello stesso periodo in cui Alfano era assessore. Una vicenda per cui il legale è stato indagato e poi prosciolto dal gip.

Coincidenza vuole che nel 2004 il suocero dell'onorevole Misuraca - il suo compagno di vacanze alle Eolie - il professore Ettore Cittadini allora assessore regionale alla Sanità, avesse nominato Tiziana Miceli fra i tre componenti del Consiglio di amministrazione della Fondazione Michele Gerbasi. Doveva gestire il centro di eccellenza materno-infantile previsto a Palermo, per un costo di circa 58 milioni di euro. Quando entra a far parte del governo, però, Alfano non si spende per il suo amico Misuraca, che punta a diventare coordinatore regionale. E qui si spezza una lunga conoscenza: Misuraca, con la sua grande dote di voti lo molla, e sceglie il braccio di Miccichè, che adesso è un nemico del ministro.

Lontano da Palermo, gli avversari diminuiscono. E ci sono altre questioni da tenere a bada. Il primo giorno nel palazzone di via Arenula Alfano sostiene che gli sono venuti i brividi quando è passato accanto alla targa che ricorda Giovanni Falcone. Ad ogni buon siciliano viene la pelle d'oca quando pensa alle vittime delle stragi del 1992. Ma la sua linea antimafia, professata in ogni occasione pubblica, fin da quando era al liceo, sembra in rotta di collisione con alcuni provvedimenti o disegni di legge.

Lo dicono gli stessi magistrati che conducono inchieste sulla criminalità organizzata e i politici collusi. Lo sostiene il procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia: "La legge sulle intercettazioni (il ddl Alfano, ndr) che si sta tentando di far approvare al Parlamento è frutto della ricerca di impunità a tutti i costi di una classe politica incline a delinquere. E che ha paura della condanna morale dei cittadini. Per questo si vuole imbavagliare la stampa".

Alfano ha dedicato la sua nomina a Guardasigilli al giudice agrigentino Rosario Livatino, ucciso dalla mafia all'età in cui Angelino è diventato ministro. È biasimato dai magistrati non per i suoi discorsi, ma per i fatti. Nei suoi interventi ricorda spesso che la sua generazione "ha una sorta di vaccino culturale antimafia". I pubblici ministeri invece lo criticano. E il suo disegno di legge è stato attaccato nelle sedi istituzionali: lo ha fatto Piero Grasso davanti alla Commissione parlamentare antimafia. Il procuratore nazionale a febbraio ha dichiarato: "Lo avremmo preso Provenzano, lo storico capo latitante di Cosa nostra, se avessimo avuto in vigore norme come quelle previste dall'attuale ddl sulle intercettazioni che appesantiscono moltissimo il ricorso alle riprese video, a quei filmati che ci hanno consentito, con telecamere piazzate in tutta Corleone, di arrivare al rifugio del boss?".

È una delle contestazioni più decise al disegno di legge: la volontà di rivoluzionare le regole sulle intercettazioni ambientali e sulle telecamere nascoste, strumenti fondamentali contro Cosa nostra. Il ministro replica e sostiene che occorre "evitare alcuni abusi soprattutto in materia di privacy che è un diritto costituzionale". Ma più che alla privacy dei comuni cittadini, sono molti tra gli operatori della giustizia a ritenere che la nuova raffica di riforme nate nel dicastero di Alfano possa servire a tutelarne solo alcuni.

Negli anni caldi dello scontro politicamagistratura, non sono mancate sue dichiarazioni di solidarietà a Marcello Dell'Utri, dopo la condanna in primo grado a nove anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa. Il futuro Guardasigilli sosteneva allora che "si sono costruiti teoremi per condannare Dell'Utri, ma il risultato è che oggi abbiamo un'altra prova che la giustizia è malata". Nel Transatlantico in tanti sostengono però che il vero ministro è l'avvocato-deputato Niccolò Ghedini, il difensore del premier. Mentre negli uffici del dicastero di via Arenula la persona che temono di più è Augusta Iannini, il capo dell'ufficio legislativo, moglie di Bruno Vespa. Ghedini e Iannini è la coppia da cui passano i provvedimenti più importanti che devono essere varati dal ministero. Martedì scorso poi anche il suo amico Schifani si è rimesso a dettare l'agenda per il Guardasigilli: "La nuova legge sulle intercettazioni, il nuovo codice penale, le nuove regole di speditezza nella celebrazione dei processi civili, la riforma dell'ordine forense per creare avvocati che possano contribuire al funzionamento della giustizia sono le vere priorità". E Alfano? Berlusconi dieci anni fa avrebbe detto: "E chi è?".


lunedì 19 ottobre 2009

Caso Mondadori, continua la caccia al giudice Mesiano

da http://antefatto.ilcannocchiale.it
Il Fatto Quotidiano n°21 del 16 ottobre 2009
di Marco Lillo



Il giudice Mesiano, quello che ha osato condannare la Fininvest a pagare 750 milioni di euro, è stato seguito mentre passeggia per Milano e va dal barbiere. Il servizio, trasmesso da “Mattino5” di Claudio Brachino, mostra il giudice che fuma e “non riesce a stare fermo”. D’altronde “alle sue stravaganze siamo ormai abituati”. In coda arriva lo scoop: “Mesiano ci regala un'altra stranezza: guardatelo seduto su una panchina: pantalone blu, mocassino bianco e calzino turchese”. Dietro la caccia all’uomo travestita da giornalismo si intravede lo stile di Alfonso Signorini. Il Cavaliere ha annunciato “notizie” su Mesiano e, dopo avere spedito i cronisti di “Chi” in Calabria per trovare notizie sulla salute e la famiglia del giudice, a Mediaset si dice che proprio Signorini avrebbe avuto l’idea del pedinamento. A un calzino turchese.


lunedì 5 ottobre 2009

E il premier trasforma in complotto un'ordinaria storia di malaffare

da www.repubblica.it
5 ottobre 2009
di Giuseppe D'Avanzo




La politica, per Silvio Berlusconi, è nient'altro che il modo più efficace per accrescere e proteggere il suo business. È sempre stato così fin da quando, neolaureato fuori corso in giurisprudenza, si dà agli affari. Forte di legami politici con le amministrazioni locali e regionali - e qualche "assegno in bocca" - diventa promotore immobiliare. La politica gli consente di tenere a battesimo, fuori della legge, il primo network televisivo nazionale. La collusione con la politica - la corruzione d'un capo di governo e il controllo di ottanta parlamentari - gli permette di ottenere, dal presidente del consiglio corrotto, due decreti d'urgenza e, dal parlamento, una legge che impone il duopolio Rai-Fininvest. Non proprio un prometeo dell'economia, nel 1994 è in rotta e fallito (gli oneri del debito della Fininvest - 4000 miliardi di lire - superano l'utile operativo del gruppo).

Ha perso però i protettori travolti dal malaffare tangentocratico e s'inventa "imprenditore della politica" convertendo l'azienda in partito. E' ancora la politica che gli consente di manomettere, con diciassette leggi ad personam, codici e procedure per evitare condanne penali per un variopinto numero di reati (falso in bilancio, frode fiscale, appropriazione indebita, corruzione) fino all'impunità totale della "legge Alfano" che gli assicura un parlamento diventato bottega sua (domani la Consulta ne vaglierà la costituzionalità).

Non c'è da sorprendersi allora se, condannato oggi al pagamento di un risarcimento di 750 milioni di euro per aver trafugato la Mondadori corrompendo un giudice, Silvio Berlusconi si nasconda ancora una volta dietro il paravento della politica. E' sempre la sua carta jolly per confondere le acque, cancellare i fatti, rendere incomprensibile quel che è accaduto, difendere - dietro le insegne dell'interesse pubblico - il suo interesse personale. Secondo un copione collaudato nel tempo, il premier anche oggi è lì a cantare la favola dell'"aggressione politica al suo patrimonio", dell'"assedio ad orologeria". Evoca, con le parole della figlia Marina (presidente di Mondadori), il "momento politico molto particolare". Piagnucola: "Se è così, chiudo". Minaccia (gli capita sempre quando è a mal partito) che chiamerà alle urne gli elettori, se sarà contrariato. Bisogna dunque dire se c'entra la politica, in questa storia della Mondadori. La risposta è sì, c'entra ma (non è un paradosso) soltanto perché salva Berlusconi dai guai (e non è una novità).

Ricapitoliamo. E' il giugno 2000. Berlusconi è accusato di aver comprato la sentenza che gli ha permesso di mettere le mani sul più grande impero editoriale del Paese scippandolo a Carlo De Benedetti (editore di questo giornale). Per suo conto e nel suo interesse, gliela compra l'avvocato e socius Cesare Previti (poi suo ministro). L'udienza preliminare del "caso Mondadori" ha un esito sorprendente: non luogo a procedere. E' salvo. Il pubblico ministero Ilda Boccassini si appella. La Corte le dà ragione, ma Previti e Berlusconi hanno destini opposti. Per una svista, i legislatori nel 1990 si sono dimenticati del "privato corruttore" aumentando la pena della corruzione nei processi soltanto per il "magistrato corrotto". Correggono l'errore nel 1992, ma i fatti della Mondadori sono anteriori a quell'anno e dunque Berlusconi è passibile della pena meno grave, da due a cinque anni (corruzione semplice), anziché da tre a otto (corruzione in atti giudiziari). Se ottiene le attenuanti cosiddette generiche, può farla franca perché il reato sarebbe estinto. La sentenza del 25 giugno 2001 le concede a Berlusconi, non a Previti che va a processo. Stravagante la motivazione che libera il premier: è vero, Berlusconi ha corrotto il giudice, ma si è adeguato a una prassi d'un ambiente giudiziario infetto e poi l'attuale suo stato "individuale e sociale" (si è appena insediato di nuovo a Palazzo Chigi) merita riguardi. Diciamolo in altro modo. Per i giudici non si possono negare le attenuanti, e quindi la prescrizione, a quell'uomo che - è vero - è un "privato corruttore" perché è "ragionevole" e "logico" che il mandante della tangente al giudice sia lui, ma santiddio oggi governa l'Italia, è ricco, potente, conduce la sua vita in modo corretto, come si fa a mandarlo a processo? Berlusconi potrebbe rinunciare alla prescrizione, affrontare il giudizio, dimostrare la sua estraneità, pretendere un'assoluzione piena o almeno testimoniare e dire perché ha offerto a Previti i milioni da cui attinge per pagare il mercimonio del giudice. Non lo fa, tace, si avvale della facoltà di non rispondere e il titolo indecoroso di "privato corruttore" gli resta appiccicato alla pelle.

Dunque, prima conclusione. La politica di ieri e di oggi non c'entra nulla se si esclude il salvataggio del premier, "privato corruttore". Bisogna riprendere il racconto da qui perché la favola dell'"aggressione politica al patrimonio" di Berlusconi si nutre di un sorprendente argomento: "Il processo non ha mai riguardato la Fininvest che si limitò a pagare compensi professionali a Previti".

Occorre allora mettere mano alle sentenze. C'è un giudice, Vittorio Metta, che già è stato corrotto da Previti per un altro affare (Imi-Sir). Viene designato come relatore dell'affare Mondadori. La designazione è pilotata con sapienza. Scrive le 167 pagine della sentenza in un solo giorno, ventiquattro ore, "record assoluto nella storia della magistratura italiana". In realtà, la sentenza è scritta altrove e da chi lo sa chi: "Da un terzo estraneo all'ambiente istituzionale", si legge nella sentenza di primo e secondo grado. Venti giorni dopo il deposito del verdetto (14 febbraio 1991), la Fininvest (attraverso All Iberian, il "gruppo B very discreet") bonifica a Cesare Previti quasi 2 milioni e 800 mila dollari (3 miliardi di lire). Su mandato di chi? Nell'interesse di chi? "La retribuzione del giudice corrotto è fatta nell'interesse e su incarico del corruttore" scrivono i giudici dell'Appello che condannano Cesare Previti non perché concorre al reato di Vittorio Metta (il giudice), ma perché complice del "privato corruttore" (Berlusconi). "E' la Fininvest - conclude infine la Corte di Cassazione - la fonte della corruzione e pagatrice del pretium sceleris", del baratto che consente a Berlusconi da diciotto anni di avere nella sua disponibilità la Mondadori.

Rimettiamo allora in ordine quel si sa e ha avuto conferma nel lungo percorso processuale, in primo grado, in appello, in Cassazione. Berlusconi è un "privato corruttore". Incarica il socius Previti di corrompere il giudice che decide la sorte e la proprietà della casa editrice. Previti ha "stabilmente a libro paga" Vittorio Metta. Il giudice si fa addirittura scrivere la sentenza. Ottiene "almeno quattrocento milioni" da una "provvista" messa a disposizione dalla Fininvest che "incassa" in cambio la Mondadori.

Questi i nudi fatti che parlano soltanto di malaffare, corruzione, baratterie, di convenienze privatissime e non di politica e mai di interesse pubblico. Di politica parla oggi Berlusconi per salvare se stesso. Come sempre, vuole che sia la politica a tutelare business e patrimonio privati. Per farlo, non rinuncia - da capo del governo e "privato corruttore" - a lanciare una "campagna" che spaccherà in due - ancora una volta - un'opinione pubblica frastornata e disinformata. Berlusconi chiede un'altra offensiva di plagio mediatico con il canone orientale delle tv e dei giornali che controlla e influenza: non convincere, non confutare, screditare. Il premier giunge a minacciare le elezioni anticipate, come se il suo destino fosse il destino di tutti e l'opacità della sua fortuna una responsabilità collettiva. Ripete la solita filastrocca che si vuole "manipolare con manovre di palazzo la vittoria elettorale del 2008 ed è ora che si cominci a esaminare l'opportunità di una grande manifestazione popolare". In piazza, metà del Paese. In difesa di che cosa? Si deve rispondere: in difesa della corruzione che ha consentito a Berlusconi la posizione dominante nell'informazione e nella pubblicità. E perché poi dovremmo tornare a votare? In difesa del suo portafoglio. L'Italia esiste, nelle intenzioni del capo del governo, soltanto se si mobilita a protezione delle fortune dell'uomo che la governa.

giovedì 1 ottobre 2009

I favori della legge al grande crimine

da http://antefatto.ilcannocchiale.it
Il Fatto Quotidiano n°7 del 30 settembre 2009
di Roberto Scarpinato


Per valutare le possibili ricadute della prossima approvazione del nuovo scudo fiscale, può essere utile ricordare alcuni degli effetti negativi conseguenti all’entrata in vigore del precedente scudo: quello introdotto dal decreto legge 350/2001. In quell’occasione fu regolarizzata una somma globale di circa 73 miliardi di euro. A fronte di tale enorme massa di capitale, furono effettuate meno di trecento segnalazioni di operazioni sospette in tutt’Italia, di cui nessuna che riguardava la Sicilia. Grazie alle garanzie di anonimato accordate da quella legge, non fu possibile selezionare e intercettare il denaro sporco frutto di gravi delitti, ben diversi da quelli di natura fiscale per i quali era stata accordata la non punibilità.

Solo per una fortuita coincidenza investigativa, la procura di Palermo ebbe modo di individuare e sequestrare alcuni milioni di euro che uno dei riciclatori più importanti di Cosa Nostra, già condannato per mafia, stava tentando di fare rientrare in Italia. Ma si trattò solo di una goccia nel mare. Così un enorme e improvviso flusso di capitale sporco refluì come un invisibile fiume carsico nel bacino dell’economia legale, con effetti inquinanti e distorsivi del libero mercato, segnalati da vari indicatori . In quegli anni apparve sulla scena una miriade di nuovi ricchi che acquistavano a tutto spiano pacchetti azionari, immobili, attività imprenditoriali e commerciali con offerte di contante che “non si potevano rifiutare”, per la loro estrema appetibilità rispetto agli ordinari standard di mercato.

In alcune rinomate località turistiche si verificò il passaggio di mano di varie attività alberghiere e di ristorazione. Si registrò anche un singolare fenomeno linguistico: improvvisamente in quei locali si sentirono risuonare parlate siciliane, calabresi e campane, al posto dei precedenti idiomi locali. Del resto ai mafiosi il Centro Nord è sempre piaciuto moltissimo: posti tranquilli dove si può investire e “lavorare” senza problemi, e dove spesso si è ancora convinti che la mafia sia solo una storia di “coppole storte”, un relitto feudale del Sud arretrato.

Per evitare che la legislazione antimafia diventi un’eterna tela di Penelope, che di giorno si tesse con nuovi provvedimenti e di notte si sfila creando enormi zone di opacità impermeabili alle indagini, sarebbe il caso che questa volta non si ripetessero gli errori del passato e, dunque, si dotasse la magistratura di strumenti idonei per intercettare quelli tra i capitali rientrati che non sono frutto di reati condonabili, ma di altre attività criminose.

Atal fine sarebbe quantomeno indispensabile che la nuova legge imponesse espressamente agli intermediari finanziari (le banche che ricevono i capitali fatti rientrare) l’obbligo di comunicare i nominativi dei soggetti “scudati” all’Anagrafe centralizzata dei rapporti finanziari istituita presso l’Agenzia delle entrate, e che l’Anagrafe provvedesse a contrassegnare tali nominativi con un codice convenzionale in modo da consentirne l’immediata individuazione.

Attualmente tale obbligo è previsto solo da una semplice circolare del 2007, che già in tanti si sono affrettati a ritenere non applicabile in quanto non espressamente richiamata dal decreto legge 78/2009 che prevede il nuovo scudo fiscale. Coloro che faranno rientrare o regolarizzeranno capitali derivanti da reati non punibili, non avranno nulla da temere da una simile operazione di trasparenza, giacché la legge garantisce loro l’immunità penale e fiscale. D’altra parte rendere immediatamente “visibili” alla magistratura i nominativi dei soggetti scudati, offrirebbe la possibilità di verificare - nei modi e con le garanzie previste per le indagini penali - se tra costoro si celino prestanome e riciclatori di indagati per reati di mafia ed altri gravi reati, e di sventare così il tentativo di approfittare indebitamente dell’opportunità offerta dalla nuova legge per “ripulire” sotto banco denaro sporco.

Continuare invece a garantire l’anonimato ai soggetti scudati, affievolire per gli intermediari finanziari o addirittura eliminare l’obbligo di segnalare le operazioni sospette potrebbe essere frainteso come un pericoloso cedimento alla cultura dell’omertà, oltre che aprire di fatto un varco incontrollabile al riciclaggio di capitali illegali.

Si correrebbe così il rischio di cadere dalla sindrome della tela di Penelope nella più grave patologia della perturbante doppiezza di uno Stato che prima chiede ai cittadini di esporsi coraggiosamente in prima persona denunciando le richieste estorsive, e poi li invita a voltarsi dall’altra parte quando si tratta di “fare cassa”, accettando il rischio di “regolarizzare” anche gli introiti delle estorsioni. Perché, si sa, “pecunia non olet”.




mercoledì 23 settembre 2009

Il primo numero de Il Fatto Quotidiano

da antefatto.ilcannocchiale.it
23 settembre 2009
di Antonio Padellaro


Linea politica, la Costituzione



Ci chiedono: quale sarà la vostra linea politica? Rispondiamo: la Costituzione della Repubblica. Non è retorica ma drammatica realtà. Prendete il principio di legalità sancito dall'articolo 1. Cosa c'è di più rivoluzionario in un Paese dove ogni giorno la legge viene adattata ai capricci dell'imperatore e dei suoi cortigiani? E l'articolo 21 quando afferma che l'informazione non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure? Vi sembra che il direttore del Tg1 ne tenga conto, quando decide che gli italiani non devono sapere né delle prostitute a casa Berlusconi né degli insulti di Brunetta? Ci dicono: che bisogno c'è di un altro giornale? Eppure questo bisogno lo sentiamo talmente da avervi investito il nostro mestiere e i nostri risparmi. Quando Indro Montanelli fu costretto a lasciare il “suo” Giornale e fondò la Voce, spiegò di aver giurato a se stesso: “Mai più un padrone”. Ne aveva abbastanza dei trombettieri al servizio dell'uomo di Arcore. Anche noi possiamo dire che qui di padroni non ne abbiamo.


La proprietà del Fatto Quotidiano è ripartita in piccole quote equivalenti tra un gruppo di soci che hanno come unico scopo quello di garantire l'autonomia del giornale e di far quadrare i conti. Piccoli azionisti ai quali in tanti chiedono di aggiungersi per dare una mano. Ricchi non siamo ma non chiederemo un solo euro di sovvenzioni pubbliche o di partito. Sono già 30mila coloro che ci sostengono in questa scelta con i loro abbonamenti. Una prova di fiducia senza precedenti, visto che il giornale lo vedranno solo oggi. Grazie. Il Fatto sarà un giornale di opposizione. A Berlusconi, certo, perché ha ridotto una grande democrazia in un sultanato degradante. Ma non faremo sconti ai dirigenti del Pd e della multiforme sinistra che in tutti questi anni non sono riusciti a costruire uno straccio di alternativa. Troppi litigi. Troppe ambiguità. E poi vedremo se Di Pietro riuscirà, davvero, a creare qualcosa di nuovo, liberandosi dei riciclati soprattutto al Sud. Lo abbiamo chiamato il Fatto in memoria di Enzo Biagi che ci ha insegnato a distinguere i fatti dalle opinioni. Un grande giornalista e un uomo perbene epurato, come Montanelli, dalla compagnia dei servi e dei mediocri. Pensando al loro coraggio ci facciamo coraggio.

martedì 15 settembre 2009

Reti unificate: saltano Ballarò e Matrix

da www.unita.it
15 settembre 2009
di Natalia Lombardo



Una lunga giornata di Berlusconi show, attore unico a reti unificate mentre indossa la medaglia del record per la consegna delle prime case ai terremotati. Una no stop indistrurbata. Ballarò è stato spostato a giovedì per lasciare spazio alla diretta di Bruno Vespa in una doppia rappresentazione: ad Onna col premier nel pomeriggio e alle nove con lui ospite in studio a Via Teulada. E per evitare che scoppiasse la bomba Feltri/Fini in tv, è stata bloccata persino Matrix su Canale5, con la scusa di «ragioni tecniche» per l’allestimento dello studio.


Saltate due puntate, per tacitare la bomba sulla querela annunciata da Fini a Feltri, previsto come ospite oggi, con Concita De Gregorio, Gasparri, Gentiloni. Palazzo Chigi ha sconvolto i palinsesti della Rai (e di Mediaset); un atto di controllo totale sull’informazione nelle tv pubbliche e private, per non oscurare la celebrazione delle gesta di Berlusconi. Dario Franceschini, segretario Pd, ha ironizzato: «Dopo Ballarò martedì salta anche Matrix... Stiamo valutando, per rispetto istituzionale, se sospendere le trasmissioni di YouDem».

Sergio Zavoli, presidente della commissione di Vigilanza, giudica «grave» lo spostamento di Ballarò per fare posto a Porta a Porta, trasmissioni «che avrebbero potuto convivere» nella logica del «palinsesto differenziato». Anticipa a mercoledì l’ufficio di presidenza anche sul «cruciale assetto di RaiTre», sui ritardi per Anno Zero e le difficoltà per Report. In una conferenza stampa ieri Bruno Vespa ha negato pressioni da Palazzo Chigi (Grazioli) sulla scelta improvvisa di andare in prima serata, «Berlusconi non hai mai chiesto di essere ospite, l’abbiamo invitato noi. Non fa mica come Craxi, che parlava quando voleva lui». «Mister Italia», come l’ha chiamato il critico Aldo Grasso, ha attribuito al direttore generale Masi la scelta: «Me lo ha chiesto sabato». L’esordio di Porta a Porta per tradizione ospita il presidente del Consiglio di turno, che ha accettato l’invito la settimana scorsa.

La consegna delle case in Abruzzo era prevista il 15 da oltre un mese, possibile che Vespa non abbia pensato a fare uno speciale in prima serata? «Non ci ho pensato, è una colpa? bacchettatemi!», dice ai giornalisti (che lo bacchettano). «Capisco benissimo il malumore di Floris, anch’io mi sarei arrabbiato», afferma Vespa, «ma non ci sentiamo abusivi». Per via della nascita dell’asilo di Onna con «un milione e mezzo di euro» raccolti tra i suoi telespettatori. Oggi alle tre sarà sul posto con Berlusconi e i genitori di Giulia Carnevale, la ragazza morta nel cui computer è stato trovato il progetto (ora eseguito) dell’asilo.

Vespa promette una telefonata a Floris (dopo la domanda di una giornalista), ma il telefono tace. Mauro Mazza, direttore di RaiUno, smentisce di aver resistito alla richiesta del Dg, però ha voluto la comunicazione scritta. Certo «un difetto di programmazione c’è stato», ammette, «in sette anni al Tg2 ho sofferto spesso a dover lasciare spazio al Tg1, ora me ma godo questo privilegio per RaiUno». Ma se fosse nei panni di Paolo Ruffini, direttore di RaiTre, «terrei duro e andrei in onda martedì prossimo».

E Ruffini ci ha provato, nel suo primo incontro con il Dg Masi, a non accettare il ripiego su giovedì per Ballarò, che avrebbe potuto coprire benissimo l’evento in Abruzzo. «Non si sana l’errore», il danno è stato fatto anche «all’azienda, ma è meglio che non andare in onda», commenta Giovanni Floris, a caccia di ospiti (fra cui Bersani) per giovedì.